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venerdì 22 ottobre 2010

Questione di Facebook



500 milioni di utenti in meno di 5 anni effettivi. 100 milioni in 9 mesi. Questi sono i numeri di Facebook, re incontrastato dei social network che hanno trasformato il modo di comunicare fra le persone in questi ultimi anni. In principio erano lettere, o come anticamente le si chiamavano missive, pezzi di carta che arrivavano dopo giorni, settimane o addirittura mesi. Poi fu la volta del telefono che come si diceva in una nota e geniale pubblicità “ti allunga la vita”, alla faccia della bolletta e degli squilli che svegliavano tutta la famiglia, della variante “messaggino”, un semplice sistema per spendere molti soldi imparando a riassumere bene un concetto, o della mail,incontrastati sistemi nella comunicazione lavorativa, ma queste comunicazione erano riservate a chi si conosceva. Non si può certo scrivere una mail senza avere un indirizzo, invece Facebook supera questo limite, ed è possibile comunicare (o cercare di comunicare) con persone che non si conoscono nemmeno, o che si conoscono solo di vista. Ecco allora che “cercando” un nome, troviamo una persona con foto ed informazioni personali, uno “status” aggiornato, la lista delle pagine che considera ok e gli amici che si porta dietro, in una lista spesso numericamente inversamente proporzionale all’età del soggetto. Amicizia prima richiesta, poi concessa ed infine esibita, amicizia tra persone che a volte non si sono nemmeno mai parlate o sfiorate, ma che per qualche strano motivo si definiscono amiche. C’è il timidone che si avvicina ad una ragazza alla quale non ha mai avuto il coraggio di dire nemmeno un tenero “ciao”, c’è l’ex fidanzato che cerca un modo meno invasivo per controllare spostamenti ed abitudini della tanto amata ex ragazza, c’è il genitore che con tono finto giovanile si fa per amici i figli e i compagni di scuola di questi, cercando alleati inconsapevoli per restare sempre informato. Fotografie taggate, elementi di riconoscimento di un’identità spesso esibita e quasi mai protetta, aggiornamenti quotidiani e in tempo reale sul proprio status per informare il mondo che in quel momento Marco “è stanco di studiare,si prenderà una pausa” o Giulia “preferisce non illudersi troppo, chi ha capito ha capito”. Una sorta di finestra sulla nostra vita, opaca talvolta e trasparente quasi mai, in cui si accetta di mettersi a nudo ( o meglio semivestiti) ed aprirsi al mondo, o almeno al mondo degli amici. Guardo il profilo di Alessandro, 17 anni, e vedo che ha 2342 amici. Con quanti di questi avrà mai parlato, discusso, riso,scherzato,litigato? Con quanti di questi avrà mai dormito su un marciapiede aspettando il treno per tornare a casa dopo un lungo interrail, con quanti avrà condiviso gioie e dolori di un’estate che sta finendo o di un week end che ha visto morire un amico o un parente? Di quante di queste 2342 persone conosce la vita, la famiglia, le abitudini, i gusti? L’amicizia è un’altra cosa. Facebook è una vetrina, spesso utile e molte volte dannosa, o meglio illusiva.

Detto ciò, confesso che anch'io, come tutti, ho un profilo Facebook.

Simone Ariot

venerdì 15 ottobre 2010

Elogio della pizza.


Disco volante, astronave, quadro o tavolozza di colori. L’ho sentita chiamare in tutti modi possibili immaginabili, vedendo la fantasia delle parole e sentendone il profumino giungere fin davanti al mio naso. Chi non la conosce? Chi non l’ha desiderata nei momenti meno opportuni, quando un crampo allo stomaco ti prende e ti conduce a lei?! Bianca, rossa e verde come il tricolore ( la fogliolina di basilico non deve mancare), questo simbolo d’identità italiana diventa una sorta di ricetta d’esportazione nazionale. Economica, veloce, completa, la pizza rappresenta una soluzione al pasto veloce o alla più tranquilla cena tra amici, quando le finanze scarseggiano o la fame è tanta. Una delle parole italiane più conosciute e pronunciate nel mondo e termine di paragone nel giudicare il cibo estero, la pizza è stata oggetto di rappresentazioni artistiche, cinematografiche, musicali……. Il celebre Totò la citava spesso nei suoi film ( “posso offrirti una pizza…ce li hai i soldi?”), Pino Daniele ne ha scritto una canzone per celebrarla ( “Fatte na pizza”), e ancora oggi la pizza rimane una straordinaria occasione di socialità. Dalle serate di “pizza e birretta” nella pizzeria all'angolo alle pizze d’asporto che arrivano comodamente fin sotto casa, anche se un po’ lessate. Un rito senza esserne consapevoli, una tradizione nazionalpopolare, un desiderio democratico e trasversale e ancor più un segno dell’identità italiana che nel tempo diventa sempre più globale. Se fino a pochi decenni fa la pizza doveva avere un concentrato di napoletanità visibile e ridondante, oggi non è raro trovare pizzerie con pizzaioli milanesi, padovani, egiziani o finlandesi. La pizza vola, oltre i confini della storia e della politica che vorrebbe regolamentarla, diventa PizzaHut, Mexipizza, pizza con patatine o crema tartufata, pizza al trancio o speedypizza. La fantasia di pizzaioli ed imprenditori non ha limite e giorno dopo giorno un'intera economia si muove in direzione della pizza, ritenuta talvolta come una sorta di lasciapassare alla ristorazione facile. Per tradizione un napoletano o più in generale un italiano che emigrava all'estero sapeva bene che, alla fine, poteva sempre mettersi a fare le pizze e in quanto italiano i clienti non gli sarebbero mancati. Ma diventare pizzaioli nasconde allo stesso tempo insidie e difficoltà, ed ecco che anche il giornalismo ce ne vuole parlare, attraverso un libro inchiesta che fa passare la voglia di pizza. Della pizza originale poi, quella napoletana, rimane ben poco, forse solo il nome, e lo spirito d’intenti, che vuole questo cibo semplice e ridente, spigliato e nutriente. Forse pochi lo sanno ma a Napoli la vera pizza è solo Margherita o Marinara, senza possibilità di mille ingredienti esotici abbinati a chissà quale birra, perchè per tradizione con la pizza si beve solo acqua, possibilmente del sindaco. Chissà cosa ne pensano quelle pizzerie oggi diventate templi del gusto, dove una pizza costa 25 euro,(ma è sublime, provare per credere) e si deve prenotare con un mese d'anticipo! Voglio lasciarvi ai dubbi e alle considerazioni personali, perchè la pizza oltre che la fame suscita anche la riflessione. E intanto che rifletto, quasi quasi mi faccio na' pizza. Napoletana (piccola soffice e “alta”), o romana (bassa, croccante e larga)? Non ci sono dubbi, per me una napoletana, Margherita naturalmente.
Simone Ariot

venerdì 8 ottobre 2010

Chi c'è dietro la tua ombra?



Siamo gelosi della nostre cose, delle nostre parole, dei nostri affetti e delle nostre creazioni? Siamo gelosi e fortemente attaccati a quanto esce o entra in noi, a quanto viene identificato con il nostro lavoro e con la dedizione che mettiamo in qualcosa? Giorno dopo giorno, senza forse nemmeno accorgercene, arriviamo a produrre, fare, parlare. Tutte attività in cui mettiamo qualcosa di nostro. Perchè con le nostre parole, azioni, gesti e movimenti, diamo un valore e soprattutto un'identità a ciò che ci appartiene. E' come se, silenziosamente, dicessimo "in questa cosa ci sono io". Il discorso di un avvocato in tribunale per scagionare l'assistito da un'ingiusta accusa, le parole del poeta che scrive una lettera d'amore all'amata, lo slogan di un copywriter per pubblicizzare un prodotto. Possono essere solo parole, ma parole con una storia e un'identità, in alcuni casi con una proprietà. Come accade alle parole dei testi letterari, coperti dal diritto d'autore e dall'impossibilità di essere riprodotti per un determinato arco di tempo, o come avviene più semplicemente per i nomi dei prodotti e per i marchi, che non possono conoscere doppioni. Perchè in tutto, anche nelle cose inanimate e nelle parole, c'è un po' d'identità. Anche in ciò che apparentemente deve esprimere solo un concetto c'è dietro il mondo di colui il quale l'ha per la prima volta identificato, ideato o espresso. Già tempo fa ne avevo parlato, in un post di qualche mese addietro in cui cercavo di trasmettere il valore dell'autonomia mentre si scrive, della creatività e della personalità.
Certo, perchè scrivere quanto hanno già detto altri, ripetendolo magari all'unisono, è un esercizio troppo semplice, una prassi fin troppo inutile per lo sviluppo di alcune abilità, come quelle della comunicazione. Noi comunichiamo perchè siamo, ovvero perchè esistiamo, perchè siamo vivi. Se ci rifiutiamo di comunicare ciò che ci rappresenta, se ci rifiutiamo eventualmente di comunicare il vuoto che in quel momento ci attanaglia, per lanciarci nella facile avventura di prendere in prestito qualcosa che non è farina del nostro sacco, commettiamo un furto di qualcosa di più delle semplici parole. Commettiamo un furto d'identità. Teniamoci la nostra che è meglio, perchè qualsiasi originale ( anche se non perfetto o magari poco interessante) è sempre più straordinariamente vivo e vero della migliore tra le imitazioni.
Ho voluto ritirar fuori questo argomento perchè, sapete, prevenire è meglio che curare, soprattutto se a curare devono essere provvedimenti indelebili.
Siamo intesi?

Simone Ariot

domenica 3 ottobre 2010

Sull'ispirazione, ovvero, i blocchi creativi


Prima o poi un post del genere doveva proprio venir fuori. Perché dopo un anno di settimanali creazioni dettate da improvvise o studiate idee che macinando nel cervello si traducono in piccoli articoli, talvolta interessanti e talvolta autoreferenziali, doveva arrivare un momento di crisi creativa. Blocco creativo, stallo, iniezione di vuoto o come vogliamo chiamarlo, chi scrive o comunque crea deve almeno una volta nella vita ( ma più solitamente molte di più), confrontarsi con questo stato. A volte il blocco creativo, questo mostro temuto, arriva e non se ne va via, diventando compagno ufficiale delle nostre giornate, altre volte è veste i panni del visitatore passeggero, che in punta di piedi, senza badare al disturbo, passa a farci un salutino, chiedendo un’ospitalità che gli viene tendenzialmente negata. Bene, consultando internet si trovano consigli di chi spende parole e paroloni per offrire soluzioni ad un problema che affligge artisti, letterati, pubblicitari e imprenditori da quando il mondo ( o meglio l’arte), esiste. Noi invece vogliamo affrontarlo così, semplicemente annunciandolo, e riconoscendolo.
Perché è arrivato un po’ all'improvviso, senza far troppo rumore, forse in punta dei piedi, in una domenica mattina dai comuni tratti deprimenti. Ma, se ci si sofferma un po’, almeno per la prima volta il blocco creativo può dare un’iniezione di idee e creatività, tant’è che sono qui a scriverne. Secondo voi, come si affronta un blocco creativo? Quali consigli o tecniche vale la pena di ascoltare? Io, per me, lo guardo e l’ascolto un po’, perché nella maggior parte dei casi, come oggi, è il blocco stesso ad offrirmi la soluzione.
Ci siamo capiti? La parola a voi!
Simone Ariot