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venerdì 30 maggio 2014

Impariamo dagli studenti. Quando conoscere un codice comune aiuta.

Commissari esterni di maturità. Grazie a Facebook gli studenti conoscono la scuola di destinazione prima degli insegnanti


Per l’ennesima volta la scuola si dimostra indietro di cento anni. Questa volta lo fa sfacciatamente, facendosi superare per intelligenza e furbizia dagli stessi studenti.
Mi riferisco ad un fatto che sta avvenendo proprio in queste ore. Come molti sapranno, da sempre la nomina dei commissari d’esame di maturità provoca non poche angosce negli studenti, che cominciano ad informarsi da amici, conoscenti o sconosciuti sulle caratteristiche dei commissari esterni, per sperare di poter rimediare all’ultimo a qualche carenza nello studio degli ultimi mesi, o semplicemente per essere più sicuri di ciò a cui andranno incontro. A volte queste informazioni sono utili, altre volte possono essere dannose e controproducenti, perché gli insegnanti si comportano spesso diversamente con i propri studenti da come farebbero con studenti nuovi, mai visti, che rimarranno solo in una parentesi d’esame.


Sta di fatto che oggi sono uscite le commissioni, o meglio sono state diffuse alle segreterie delle scuole. In internet saranno pubblicate solo martedì 3 giugno, tra quattro giorni ( e di mezzo c’è sabato, domenica, lunedì di festa). Questo significa che gli insegnanti non conoscono ancora la loro sorte. Saremo nominati? E, se sì, in una scuola che conosciamo? Vicino casa o a chilometri di distanza? Per alcuni, come per il sottoscritto, saperlo oggi o saperlo martedì potrebbe cambiare le cose, ad esempio per decidere quando partire per le vacanze, o per qualsiasi altro motivo. Di fatto aspettare non è un dramma, il problema non è questo. Qual è allora? Semplice, gli studenti, ancora una volta, hanno dimostrato che sono molto più svegli di noi, capaci (loro) di parlare un linguaggio comune (in questo caso Facebook) e in grado di collaborare tra loro per raggiungere un obiettivo comune.
Cosa hanno fatto? Semplice, hanno aperto un gruppo segreto su Facebook, moltiplicato tante volte quante sono le città d’Italia, intitolato “Commissari esterni xxxxx 2014”, dove la xxxxx è sostituita dal nome delle città. Un gruppo chiuso, a cui si può partecipare solo ed esclusivamente se si fa richiesta agli amministratori, i quali controllano se l’interessato è uno studente ( lo si capisce dalle informazioni anagrafiche). Lo studente di una scuola in cui è uscita la commissione, grazie alle segreterie che rendono ufficiosamente pubbliche le formazione delle commissioni, condivide il nome dello sconosciuto commissario esterno, aspettando che qualcuno di un'altra scuola che lo conosce commenti il post. Crearsi un profilo fake e tentare l’accesso non serve, non ci sarebbe abbastanza tempo per crearsi anche gli amici (dato importantissimo per dimostrare che la propria pagina è reale e non falsa)  e quindi risulta impossibile per un non studente aver accesso al gruppo.
Indipendentemente dal fatto che in questo gruppo vi è un vero e proprio ranking di valutazione sulle qualità dei docenti rese pubbliche ai membri del gruppo (in poche ora la sola città di Vicenza ha avuto un migliaio di iscritti), questi ragazzi conoscono in largo anticipo, rispetto agli insegnanti, una cosa che dovrebbero sapere prima gli insegnanti. E il bello è che, utilizzando lo stesso sistema, gli insegnanti avrebbero potuto fare la stessa cosa, scoprendo in anticipo la scuola di destinazione. Ho assistito ad una scena bellissima, in cui un mio alunno, alle 11.35, ha scoperto che la mia collega (sua prof) di storia dell’arte era stata nominata in una certa scuola. Lei l’ha scoperto solo alle 13.30, semplicemente perché ha parlato con me, altrimenti avrebbe aspettato martedì.
Cose da poco direte, e invece no. Sono sicuro che al ministero non ci hanno minimamente pensato ad un fatto del genere. Hanno ragionato come sono abituati a fare, consentendosi per l’ennesima volta di dimostrare quanto la scuola sia “un parco giochi dell’irrealtà” (questa è una mia massima di cui vado molto fiero), non vedendo che la comunicazione in questi anni è cambiata, che esistono sistemi veloci e semplici per condividere le informazioni, che si può arrivare alla sostanza molto più velocemente rispetto a come avveniva prima.
Ecco. A me, a farmi incazzare, non è il rendermi conto che i ragazzi sono più svegli degli adulti, ma il notare che gli adulti nemmeno si rendono conto di quanto sono veramente messi male, di quanto sono sintonizzati su un mondo destinato a morire, o che è già morto.
Pensate, ad esempio, se invece che demonizzare Facebook gli insegnanti si rendessero conto che è uno strumento di semplificazione assoluta per gestire i consigli di classe, o alcune riunioni di gruppi di insegnanti che spesso e volentieri si organizzano con evidentissime difficoltà. Un sistema che velocizza la comunicazione, rendendola democratica. Ma noi invece, a scuola, ci confrontiamo ancora con colleghi che non leggono le mail, che non hanno presentato un solo progetto in vent’anni, che saprebbero perdersi in una stazione di una media città italiana e che pensano che bersi uno Spritz  sia sintomo di alcoolismo e disagio sociale.  Per fare quello che questi ragazzi hanno fatto in  pochi minuti, il mondo degli adulti che gestisce la scuola ci avrebbe messo qualche mese, senza ottenere probabilmente il medesimo risultato, ma scrivendo e riscrivendo (farcita di commi e note ministeriale) una “circolare” consegnata a mano dalla bidella. Un esempio come tanti che dimostra come l’imbrigliamento formale, la burocrazia, un sistema superato nella selezione e uno statuto giuridico da rivedere stiano distruggendo totalmente la scuola e la dimensione scolastica italiana. Luogo in cui più che apprendere e crescere si diventa furbi, perché si è costretti a farlo, perché poi, là fuori, c’è bisogno anche e di questo. Viva la scuola, viva l’assurdità.
E con questo chiudo.

Simone Ariot


giovedì 17 aprile 2014

La scuola è come un vecchio palazzo difficile da restaurare


Stefania Giannini è da quasi due mesi ministro dell’istruzione. Come tutti i ministri che si sono succeduti negli anni, anche lei sta proponendo e proporrà alcuni cambiamenti nella scuola. Non si tratta certo di una vera e propria riforma, come invece ha fatto la Gelmini, la Moratti o Berlinguer. Ma quando si parla di riforma, che significato si dà a questo termine? Chiunque conosca la lingua italiana sa infatti che riforma significa assegnazione di una nuova forma, una presa d’atto che modifica in modo importante un soggetto assegnandogli una forma nuova, una nuova immagine, anche molto differente dalla precedente. Dal ministro Gentile nel 23’ in poi la scuola italiana ha conosciuto numerose riforme. Nessuna, però, degna di questo nome. Si è trattato piuttosto di operazioni di restyling, in cui il cambiamento, la trasformazione, è risultato minimo, a volte invisibile, rispetto la dimensione totale dell’oggetto. Per chi non mastica di scuola, propongo un semplice esempio. Immaginiamo che la scuola sia un edificio, un palazzo. 



La scuola italiana sarebbe quindi un edificio molto grande, e molto vecchio. Non necessariamente antico, ma vecchio. Nel tempo, però, quest’edificio ha presentato alcuni problemi. Le sue mura hanno cominciato a scrostarsi, le scale interne non consentivano l’inserimento di ascensori, coloro che la abitavano hanno cominciato a crescere a dismisura. Un po’ alla volta, uno dopo l’altro, gli architetti hanno cercato di risolvere qualche problema. Una porta veniva cambiata, pareti stuccate, dei cornicioni restaurati. Alcune sue stanze interne hanno cambiato dimensione, perché si sono ingrandite o rimpicciolite, ma l’edifico rimaneva comunque quello. Al suo interno, però, si patisce freddo d’inverno e caldo d’estate, non si riesce a far entrare in visita elementi esterni all’edificio stesso, non funzionano molti degli strumenti tecnologici che in tutti gli altri edifici si usano e…cosa da non sottovalutare, chi li popola ci entra sempre più malvolentieri.  Per di più è spaventosamente grande, e per essere governato, pulito, gestito, le complicazioni sono lunghe e infinite. I suoi capi stanno dentro l’edificio ma in stanze lussuosamente arredate, nascoste alle altre, senza mai entrare in contatto con chi invece popola l’edificio. Paradossalmente, però, più il disfacimento è sotto l’occhio di tutti, più ci si rende conto che cambiare veramente sarebbe difficile. Perché non servirebbero più lavori di ristrutturazione, che nel tempo si sono rivelati inefficaci e costosi, ma una vera e propria ricostruzione, che parta da un nuovo progetto. Il problema, infatti, sono le fondamenta e la struttura. Sono talmente compromesse da risultare inagibili. Da un momento all’altro potrebbe crollare l’edificio. Miracolosamente, però, non è ancora crollato, nonostante i mille errori di progettazione, i mille segnali di un crollo imminente.
Ecco, la scuola italiana è questo. Un mondo da ripensare ex novo, da zero, considerando i bisogni della società, l’evoluzione degli ultimi decenni, gli scopi e gli obiettivi che può avere. Il problema, però, è che dentro la scuola stanno persone ormai soggiogate dalla sua stessa forma, desiderosi e vincolati alla possibilità che tutto cambi affinché non cambi nulla. Come in una delle tante riforme.
Ricostruire come si fa con una vecchia casa di campagna, ormai pericolante e pericolosa. Per farlo, bisogna prima di tutto abbatterla. E per abbatterla, bisogna spostare le persone e le cose che ci sono dentro. E soprattutto, avere un progetto.
In Italia abbiamo un progetto per una nuova scuola? Una scuola diversa, veramente nuova?

Simone Ariot

lunedì 3 febbraio 2014

L'Aids che non fa più paura ai giovani. Perchè a scuola non se ne vuole parlare


Ricordate le “pubblicità progresso” per incentivare l’utilizzo dei preservativi? Quelle che mettevano il contorno viola alle persone, o vedevano un anziano professore chiedere con toni minacciosi “Di chi è questo?”. Se avete più di trent’anni e l’alzheimer non vi è ancora piombato addosso, probabilmente la risposta sarà affermativa. Difficile infatti dimenticarsi di una questione, quella della prevenzione dell’Aids, che a cavallo fra gli anni ’80 e ’90 ha letteralmente bombardato la quotidianità degli italiani. E nessuno sembrava rimanerne schifato o sconvolto.
Di Aids ci si ammalava e si moriva, ma soprattutto lo si trasmetteva. Insospettabili padri di famiglia con vizi adulterini, malati sottoposti a trasfusioni, tossici che condividevano siringhe o, molto più banalmente, rapporti sessuali non protetti, erano la causa della peste del XX° secolo. La risposta della società, all’epoca,  ci fu. Film che ne raccontavano la storia (ricordiamo Philadelfia, con un commovente Tom Hanks), fondazioni nate per sostenere i familiari dei malati (Casa Marcoaldi, a Vicenza, fu una delle più attive) e, soprattutto, il coinvolgimento della scuola, di tutti gli ordini e gradi, che ne parlava affrontando la questione anche dal punto di vista delle singole discipline curriculari.
Ora, a distanza di una ventina d’anni da quando la nostra città aveva il primato di morti per il virus, l’Aids è tornato ad essere argomento tabù e, ancor peggio, pressoché sconosciuto dalle nuove generazioni, mantenendo purtroppo il primato dei contagi. Ma il dramma è che la malattia è tutt’altro che sconfitta, e i casi di nuovi contagi vedono protagonisti soprattutto giovani e giovanissimi. E non è un caso. Tra gli studenti delle scuole superiori, pochi sanno cosa sia l’AIDS e come la si trasmetta. In una classe di 25 studenti, solamente in 5 sapevano di cosa si stesse parlando, e ad alcuni genitori ha dato fastidio che si affrontasse l’argomento, visto che si è citato il preservativo e le modalità di contagio. Parliamo di genitori che per età hanno vissuto molto da vicino quel periodo buio, quando si era abituati a trovare nei necrologi sul giornale foto di trentenni con cui si era cresciuti.
Forse oggi la malattia spaventa meno, perché l’aspettativa di vita è aumentata, ma a costi importanti per il sistema sanitario nazionale e la qualità della vita della persona che affetta. Oppure non si vuole turbare la crescita e la spensieratezza degli adolescenti. E se la famiglia latita, la scuola fa altrettanto. Una strana forma di paternalismo protettivo che nega il problema piuttosto che affrontarlo facendolo conoscere per combatterlo. Intanto, giusto per dirla tutta, gli adolescenti italiani hanno rapporti sessuali sempre più precoci e cambiano in velocità partner. Soffriamo per caso di nostalgia da necrologi di giovani?

Articolo comparso e pubblicato il 27/12/2012 su La Nuova Vicenza