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lunedì 30 maggio 2011

Cercasi costanza disperatamente

in foto: Costante Girardengo. Uomo costante di nome e di fatto.

Costanza, parola che sentiamo quotidianamente, a scuola, al lavoro, nelle relazioni.....
Un termine che fa quasi paura, perchè richiede impegno e capacità critica d'osservazione del proprio lavoro e di sé stessi. "Devi essere costante, altrimenti il latino non lo imparerai mai", "devi essere costante nello sport, se vuoi ottenere risultati"......di esempi ne abbiamo all'infinito.
Ma la costanza presuppone anche una certa capacità d'accettazione delle critiche. Essere costanti è un dono, ma talvolta diventa allo stesso tempo un limite, se si decide di perseverare con costanza su ciò che fa star male e non offre occasioni di critica e miglioramento. Ma fermandosi un momento a riflettere sulla parola COSTANZA, ne scopriamo delle belle. Ad esempio che deriva dal verbo latino consto, che di fatto significa fermarsi, non mutare, rimanere uguali. Già, fermarsi. Eppure all'idea che la costanza debba essere rappresentata dall'immagine del fermarsi saremo pronti a non crederci, perchè in effetti sembra proprio un controsenso. Costanza come dover fare qualcosa.........e poi costanza come fermarsi, come non cambiare. Interessante.
La costanza ha a che fare con tutto, anche questo blog, visto che di costanza ne richiede parecchia. Questo infatti è il 69° post di PAROLEFANTASIOSE, un esperimento nato per gioco in una sera di settembre di due anni fa. Per gioco o per disperazione forse, come accade spesso con le cose che poi funzionano bene. Per disperazione perchè stavano finendo le ultime ore di vacanze estive e ricominciava un nuovo anno scolastico ed io sapevo che l'indomani sarei entrato in classe ed una cosa chiamata programma mi avrebbe annientato un po' alla volta la creatività e la voglia di metterci del mio nelle cose. Così, come un raptus, ho visualizzato il blog e ho deciso di farlo partire. In poco più di un'ora sono partito con il primo post e poi....tutto si è sviluppato da solo, quasi senza rendersene conto. Oggi Parolefantasiose è citato sui libri di didattica, partecipa a concorsi sull'innovazione della scuola, viene preso come modello di didattica democratica e sostenibile e continua a solleticare l'attenzione di più di 500 persone alla settimana che ci seguono silenziose.
Certo che tutto questo senza costanza non si poteva fare. Per essere indicizzati sui motori di ricerca, per fidelizzare i lettori, serve la costanza, la maledetta costanza. Perchè ci sono delle volte, delle settimane, in cui essere costanti risulta proprio difficile, perchè si hanno troppe o troppo poche cose da dire e si rischia di perdersi, o più semplicemente perchè si ha poco tempo. In questi giorni, ad esempio, Parolefantasiose è più che mai attivo e si sta facendo giudicare dall'esperto popolo del web, anche se sembra starsene un po' spento. Ma non è così, i post magari tardano un po' ma vi assicuro che sono lì nella mia testa ed aspettano solo di poter entrare, settimanalmente, nello schermo.
Parolefantasiose andrà in vacanza estiva tra un po', non so nemmeno quando, ma per un po' andrà.

Simone Ariot

venerdì 20 maggio 2011

Come tutti sanno......



Come tutti sanno....molti non sanno, ma fanno finta di sapere. Già, perchè della manifesta volontà nel dichiarare d'ignorare un fatto non ne saremo mai abbastanza abituati. Detto in termini più immediati, molta gente fa finta di sapere ciò che non sa. Si tratta di uno scioglilingua? di un gioco fonetico? No, semplicemente di quanto hanno voluto dimostrare alcuni studenti del corso di laurea in ingegneria del cinema che hanno messo in scena al Salone del libro di Tornino uno sketch veramente esilerante. Uno studente, camuffatosi con il nome di Madalon, si è presentato a diversi v.i.p ( very important person) chiedendo un'opinione sulla sua opera prima, "L'Implosione", libro in realtà mai diffuso e soprattutto mai scritto. Una balla colossale insomma. I malcapitati a cui si è rivolto sono i volti noti del grande schermo e del ( sedicente?) mondo della cultura, come Serena Dandini, Vittorio Sgarbi, Giancarlo de Cataldo, Lucia Annunziata, Mauro Corona, Giorgio Faletti e molti altri che addirittura si abbandonano a snocciolare consigli su consigli per il prossimo ed eventuale secondo libro di Madalon. "Racconti il tuo mondo in modo estremamente autentico, con una parte tipica delle opere prime che porta l'ansia nel voler metterci dentro di tutto...con uno sguardo rivelatore sul mondo che a me arriva estraneo" dice un noto scrittore....senza rendersi conto che stava parlando del nulla. Ancora più saggio Mauro Corona, che consiglia al finto autore di non affezionarsi troppo, perchè "un libro è come una scopata. Devi pensare a quella da fare e non a quella fatta". Grazie del consiglio Corona, vedrò di elevarlo a massimo principio.
Un vero e proprio esperimento di psicologia sociale applicata, dove la dimensione autoreferenziale si eleva a narcisismo dell'intervistato il quale, nonostante l'ignoranza, non vuole fare a meno di rilasciare una sua dichiarazione. Ma la cosa interessante è che l'interessato, il contaballe, poi non si interesserà minimamente a colmare la propria lacuna e rimarrà nell'ignoranza. Situazione simile a quella che si verifica quando molti pronunciano, ad esempio molti professori, la frase "come tutti sanno...." mettendo in evidente condizione di insicurezza l'interlocutore il quale, rendendosi conto di non conoscere una cosa che appunto tutti sanno.........se ne starà zitto e farà finta di sapere. Buffo no, ci avete mai pensato? e ci avete mai provato?
Io ci proverò oggi in classe, vediamo se gli studenti se ne accorgeranno. Poi vi aggiorno.

Simone Ariot

lunedì 9 maggio 2011

Referendum: più che un diritto, un dovere

Referendum: Gerundio di Referre (refero, ferers, retuli, relatum,referre), riferire.

E' uno dei molti significati di questo verbo latino, che associato alla particella ad ( ad referendum) significa.....per riferire. Si, perchè il referendum serve proprio a questo, a riferire. E nello specifico a riferire ciò che pensa il popolo direttamente al parlamento. E' uno strumento di democrazia diretta, una possibilità che la costituzione prevede, un'occasione di partecipazione che, indipendentemente dal voto, eleva le persone a cittadini. L'11 e 12 giugno l'Italia si mobiliterà per una consultazione popolare che riguarda tre argomenti: Il legittimo impedimento, il nucleare, e la privatizzazione dell'acqua (due quesiti). Non mi interessa discutere dei quesiti, non voglio fare il professore politicizzato, e nemmeno indurre qualcuno a votare si o no. Perchè un sì o un no è comunque una scelta, una presa di posizione coscienziosa, una delle tante occasioni in cui nella vita ci si trova di fronte ad un bivio e si deve scegliere. Anche astenersi è una scelta, ma presentandosi al voto. Non votare non presentandosi alle urne significa invece non assumere una posizione, a meno che quella di dare forfait e non sia da considerarsi posizione. Attenzione, tra il sì e il no può esserci anche l'indecisione, la scheda bianca, ben diverso dal non presentarsi alle urne. Perchè al fine della validità della consultazione è necessario raggiungere il quorum, una percentuale superiore al 50% più uno degli aventi diritto al voto, e questo viene calcolato dal numero di coloro che si presentano alle urne, non dal numero di schede presenti. Chi si presentasse e votasse scheda bianca è comunque utile al conteggio, favorendo di conseguenza la maggioranza. Di fatto si tratta di una scelta politica, anche se talvolta inconsapevole.
Ed è su questo che ha senso battersi, sulla consapevolezza che troppo spesso manca. Senza soffermarsi sul notevole costo per organizzare un referendum che andrebbe vanificato in caso di mancato raggiungimento del quorum, perchè se si dovesse guardare i costi passerebbe la voglia di organizzarli e crearli. A partire dal 2 giugno del 1946, quando gli italiani hanno scelto la Repubblica, i referendum si sono succeduti nel nostro paese a cadenza sempre più frequente. Da quelli sull'aborto e il divorzio che hanno visto leader radicali come Marco Pannella ed Emma Bonino in prima linea, a quelli che proponevano di eliminare una legge e quelli che volevano modificare alcuni articoli della costituzione. Il referendum, in Italia come in Europa, è uno strumento democratico, che aiuta a scegliere quando c'è bisogno di prendere una posizione. E voi ne avete una?

lunedì 2 maggio 2011

Quando la connessione manca

Sembra impossibile, ma se manca la connessione internet manca , se non tutto, quasi tutto. O per lo meno manca la percezione che possa esserci e concretizzarsi qualcosa. Pare che se non finisce in rete il pensiero, l'azione, il turbamento o la felicità, non abbiano più senso. Così, direi piuttosto casualmente, mi trovo da un minuto all'altro senza connessione internet, e scopro che la faccenda durerà almeno una settimana. Nel 2011 una settimana sconnessi sono un'eternità. Ricarico la mia chiavetta 3g, quella che uso quando vado in vacanza, e scopro che la zona dove abito non presenta la copertura sufficiente per far funzionare la chiavetta. Punto e a capo. Cellulari super tecnologici no, non sono il mio forte, e allora ecco che semplicemente rinuncio ad internet da casa, limitandomi ad usarlo a scuola ( quindi al lavoro). E per uno che scrive per riviste e lavora nella comunicazione non avere internet nel proprio ufficio, cioè la casa, è come per un avvocato non aver un codice civile a portata di mano, o per un medico uno stetoscopio. E' per questo che ho latitato in questi giorni, potendo scrivere solo ora mentre i miei studenti di prima stanno litigando con un tema che considerano troppo difficile!
Stare senza connessione significa riscoprire ritmi ormai dimenticati, rallentare l'iperattivismo da googledipendenza, la condivisione reciproca di post in Facebook, l'attenzione verso la lucetta verde "sei in linea" che si vede in Skype, l'attesa di una richiesta d'amicizia e di un "mi piace" che si aspetta invano. Gravi perdite.
Ma cadere nella trappola della perdita di una pseudo connessione forzata ha i suoi vantaggi, moderatamente esposti e sentitamente penetrati. Perchè si riscoprono vecchie abitudini e nuove possibilità, come navigare tra gli astri invece che nel web, rispolverando un vecchio telescopio che dormiva tra la polvere per perdersi in una luna chiara e pallida invece che starsene ore ed ore a navigare. Oppure cercare gli orari di un treno sul quotidiano e non in Trenitalia.com, scoprendo una nuova legge fisica ("cambiando la fonte d'informazione l'orario del treno è sempre lo stesso e il risultato non cambia"). Ma la conferma più significativa viene dalla socialità, dal riconoscere che si può ancora organizzare una giornata con amici senza necessariamente creare una pagina di "evento" in facebook e abbandonarsi in scorribande motorizzare in collina o errabonde passeggiate tra i bacari di Venezia anche senza google maps ad indicarci il percorso. Insomma, vivere ( sopravvivere) senza internet 24 ore su 24 si può, e può far bene anche alla salute se lo si vuol provare, ma purchè se ne abbia la possibilità di accedere almeno un paio d'ore al giorno, magari dal lavoro ( o per lavoro). Vogliamo provare una cosa ancora più estrema? Il no Cellu day, una giornata intera ( il sabato?) senza telefonino, magari addirittura un week end. Sareste pronti all'impresa? Io si!

Simone Ariot