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mercoledì 23 febbraio 2011

Rivolte: aspettando Marocco ed Algeria


Prima la Tunisia, poi l'Egitto, ora la Libia, in un'escalation che ha portato ad un'evoluzione in negativo del disastro. Proteste sociali a Tunisi, deposizione del sovrano nel paese dei faraoni e guerra civile nel regno di Gheddafi. C'è da chiedersi cosa potrebbe succedere in Algeria e Marocco, i due paesi del Maghreb fino a questo momento non interessati agli scontri. La posizione più preoccupante è quella dell'Algeria, paese storicamente più problematico tra quelli del Nord Africa, mentre il Marocco vanta una tradizione politica più stabile e filoccidentale, che negli ultimi anni ha saputo dialogare molto con l'Europa impegnandosi in un processo di modernizzazione. E' bene comunque prepararsi ad uno sviluppo di un'ipotetica nuova crisi Algerina, non tanto per concreti fatti che in questi ultimi tempi si sono aggravati, quanto per l'azione a catena che si può creare in momenti come questi. Siamo nell'epoca dell'informazione libera, grazie a Facebook e ai social network so possono propagare e diramare notizie non filtrate dagli interessi di parte, liberamente prodotte e verificate dai cittadini. Un mondo che cambia più velocemente di quanto si possa immaginare, solo cinque anni fa non sarebbe stato possibile tutto ciò. Perché le notizie che riguardano un paese sarebbero rimaste confinate in quel paese e non si sarebbe riusciti a dar voce alla gente comune, se non attraverso un lunghissimo processo di esportazione delle notizie attraverso i media tradizionali, ma filtrate dai meccanismi di potere che si insidiano all’interno di ogni redazione e canale mediatico. Vediamo quindi che la genealogia delle rivolte e delle guerre cambia nel tempo, si riducono i tempi di passaggio e di attesa e si crea una sorta di unico grande calderone di manifestazioni, proteste, guerre.

Il Nord Africa brucia, l’Europa e l’occidente sta a guardare. L’Italia, in questo specifico caso, si imbarazza considerando i rapporti politico economici intensificati negli ultimi tempi. Solo pochi mesi fa Gheddafi veniva accolto come un semi Dio a Roma, divenendo immediatamente il nuovo re dell’ Urbs. Tende da deserto, eserciti di ragazze fornite per allietarlo, ricevimenti in pompa magna per un uomo che sta bombardando le città, dando ordine di uccidere chiunque, anche gli innocenti, i bambini, le donne. Si parla di 10.000 morti in pochissimi giorni.

Viene da chiedersi cosa possa fare l’Onu, perché se la comunicazione diffonde tanto velocemente le notizie, non altrettanto velocemente i potenti della Terra sono in grado di prendere decisioni. Quando non ci sono interessi in gioco (e non è il caso della Libia considerando il petrolio di cui dispone), non si prende alcuna decisione. Quando invece gli interessi ci sono e sono evidenti, la situazione diventa ancora più difficile da controllare. Gli interessi sono multiformi e diversificati. Chi vuole cosa?

Nel frattempo la gente muore.

Simone Ariot

mercoledì 16 febbraio 2011

Parole e musica nell'anima. Entrano dentro

A volte il rischio è quello di ripetersi, inciampando su un errore da principiante, facendosi coinvolgere oltre misura da un concetto, un’idea, un’emozione. Ma è difficile non parlare di musica, di canzoni, di note e di parole, quando entrano dentro un po’ alla volta, magari sotto voce, per poi farsi sentire a tutto volume. La musica fa quest’effetto, mi fa quest’effetto. Mi cattura con una parola, tocca un’emozione, mette in moto pensieri, sensazioni e immagini che si muovono da sole. E’strano, perché alle volte succede un fatto un po’ così: si fischietta una melodia, magari la si canticchia, convinti di non ascoltarne il senso, le parole. Ne si ripete il ritornello, felicemente a voce alta o tristemente singhiozzando, e poi giù a capofitto…..saltando qualche parola e stonando un po’ di note, o forse tutte. Non ci si rende conto però che queste parole, alle quali non stiamo prestando attenzione, entrano piano piano in noi, si nascondono come cose preziose che il tempo ha dimenticato lì, dentro un cassetto, e tornano fuori quando meno te lo aspetti. Sono parole, forse in una lingua che non conosci o in quella che parli sempre, parole che hanno un significato, che raccontano una storia. Magari la tua, o la mia, che senza musica se ne sta lì, impalata, ad aspettare di vivere, a guardare le cose invece che a farle, ad aspettare la notte che quando arriva è senza stelle, ma ti dice che esisti. Come in questa canzone……malinconica come chi la canta, e per questo tristemente dolce. Come la luna che esce ogni sera salvo alcune, e se ne sta a parlare con i matti e le puttane, con i pastori erranti e i disperati. Oppure con i principi che non sanno d’esserlo o con le ragazze che li aspettano. Una notte, come quella raccontata in questa canzone, pronta a coprire il cielo con i cartoni. Notte senza cuore. Notte che aspetta il giorno per guardarlo, per poi tornare e far tremare il cielo e di nuovo scrutare la vita, da spettatore, da confidente degli angeli. Ma qualcuno sentirà. E tu, la senti la voce della musica? E la senti la vita?

Simone Ariot

domenica 13 febbraio 2011

Egitto libero. E adesso?

Una storia durata trent'anni. Un regime che si immaginava infinito, un uomo che rappresentava l'Egitto in sè, e il sè nell'Egitto.

Proteste, piazze, morti, esercito, media, facebook. Sono il vocabolario degli scontri, la grammatica di una protesta durata poco più di due settimane e conclusasi come gli egiziani desideravano. Libertà nei volti dei ragazzi laureati che vendono frutta agli angoli delle strade, libertà nella voce di ragazze che sognano un occidente più vicino, libertà nelle speranze di quei genitori che hanno voluto investire nel futuro dei propri figli e che ormai avevano perso ogni speranza.

E adesso? Quale scenario si aspre?

Controllo straniero?

Gestione dell'Onu?

Intanto pare ci siano i generali. Già, i generali. Quegli stessi generali di cui Mubarak stesso faceva parte. I generali.

Il popolo sembra felice e speranzoso.

E adesso?

La storia parla chiaro, è come una scienza che attraverso numeri e statistiche dimostra come vanno quasi sempre le cose. Difficile individuare una realtà in cui dopo una rivoluzione della popolazione e un ritiro del suo leader, ci sia la capacità di prendere in mano le redini di una nazione e ripartire. L'Egitto non è Sao Tome e Principe, piccolo atollo caraibico con poche migliaia di abitanti. L'Egitto ha 4000 anni di storia e 80 milioni di abitanti, 18 dei quali raggruppati al Cairo.

E adesso?

Elezioni libere con quali candidati? diventerà un feudo americano o si accenderà la miccia del fondamentalismo islamico? L'Egitto è lì, con le sue contraddizioni e le sue difficoltà evidenti, in un continente che gli sta stretto e che lo condiziona. Ma è lì, nella morsa di una scelta manichea, nel rischio di ricadere domani stesso.

Ma intanto ci sono i generali. Si, i generali.

Gridare libertà con l'inconsapevolezza è facile. E’ legittimo. E’ auspicabile. Ma allo stesso tempo talvolta sconveniente. L'Egitto dimostrerà di potercela fare?

E adesso?

Simone Ariot



giovedì 3 febbraio 2011

Il Carnevale del "Piccolo Mafioso". L'ipocrisia delle parole

Tutti i giornali ne stanno parlando. Pare che la decisione di un negozio del Vomero, quartiere collinare napoletano, di esporre in vetrina un costume di carnevale da "Piccolo Mafioso", abbia suscitato l'ira e l'indignazione di mamme e genitori. Ma per meritare addirittura un servizio al TG5 significa che il fatto è considerato una notizia vera e propria. Certo, in una regione martoriata da una mafia chiamata Camorra, la trovata del costume da u' camorristello non è certamente di buon gusto, ma c'è da chiedersi quanti si sarebbero scandalizzati se invece della dicitura "Piccolo mafioso" ve ne fosse stata una che recitava "Al Capone", o "Piccolo gangster". Quando si usano le parole le cose non stanno come nella proprietà commutativa: cambiando gli ordini degli addendi ( o meglio mettendo un sinonimo) il risultato cambia. Anche quando il significato dei termini è il medesimo. E l'ipocrisia sta tutta qui.

Ma noi siamo italiani e sensazionalisti, amiamo scandalizzarci per l'utilizzo di un termine tabù ( provate a parlare di mafia in certi ambienti del sud Italia e vedrete tutti cambiare discorso) e montare casi mediatici anche quando se ne potrebbe fare a meno. La realtà di Napoli ha ben altri problemi: disoccupazione, criminalità, gestione personale del potere pubblico, rifiuti, assenza dello Stato, anche se molto spesso questi argomenti sono così scontati che non fanno notizia.

Le parole hanno il loro peso, che piaccia o no, sono come piccole identità scolpite nella memoria e in quel vissuto personale e collettivo che condiziona tutti, al punto di non riuscire più a distinguere una situazione carnevalesca da una quotidiana. Perchè il Carnevalle, e a Napoli ne sanno qualcosa, è un momento dissacratorio, pagano, che si prende gioco di ciò che si da per scontato, anche della morale pubblica.

D'altra parte a Carnevale, ogni scherzo vale. Anche se di cattivo gusto.

Simone Ariot