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giovedì 24 gennaio 2013

La scuola è il parco giochi dell'irrealtà


Evento inaugurale di Corriere innovazione

È difficile, dopo aver partecipato all’evento per la presentazione del Corriere Innovazione, nuovo format/magazin/sito/comunità  made in Corriere, essere propositivi rispetto la questione scuola/istruzione/. Soprattutto se, poche ore prima, il contenitore del mio tempo non era il Diesel Village di Breganze ma l’aula insegnanti del liceo dove insegno.
Due pesi due misure si dice.
E invece no. I due pesi dovrebbero avere le stesse misure. Gli stessi colori e lo stesso impatto. Solo il pubblico poteva cambiare.
Perché scuola e innovazione dovrebbero essere un tutt’uno. Una sorta di Giano bifronte iper connesso , ma  speculare. Un costrutto unico, che si fonde e diviene simbolo del divenire. Parole a vanvera diranno alcuni, e forse è vero. Ma intanto dentro di me immagino un nuovo reality show in cui l’obiettivo, per una persona normale, è resistere all’interno di una scuola. Magari all’interno di un collegio docenti, dove si può discutere per oltre un ora su quali possano essere i criteri da adottare nella selezione degli eventuali studenti  in esubero al momento dell’iscrizione.  Piccolo particolare, nella scuola in questione c’è il problema opposto. Di studenti negli ultimi anni ne stanno arrivando sempre di meno, mettendo a rischio alcuni posti di lavoro dimostrando che c’è qualcosa che non va. Resistere in un reality in cui in gioco si mette il non senso, lo spreco dei talenti, o la loro demolizione (una delle attività preferite della scuola)
Mi raccomando però, non diciamolo.
La scuola preferisce continuare a vivere un mondo in cui non esistono interlocutori se non sé stessa o il passato. Un mondo in cui non ospitare eventuali  confronti ed ascolti, ma dar spazio alla sola, unica e indissolubile via. Quella dell’autoreferenzialità, della chiusura. E guardare il resto come se fosse sempre un male.
La vedo proprio così la scuola. Come un parco giochi dell’irrealtà. In cui si gioca a un gioco senza senso, che insegna le regole di un mondo vecchio e superato, e allontana invece ciò che di reale c’è fuori dalle sue porte.
Aiuto

Simone Ariot

p.s: comunque, fuori dalla scuola le cose si muovono. O per lo meno desiderano muoversi. Almeno li' 

martedì 8 gennaio 2013

Una cena 2+2. Io, te e i nostri smartphone

Una coppia che non dialoga.....se non con il proprio smartphone...



Una pizza fra amici, quattro birre e molte cose da raccontarsi.
 Sembrano gli ingredienti perfetti per una serata libera da impegni e routine, ma da qualche tempo a questa parte è sempre presente l'intruso. O meglio, gli intrusi. Non si tratta delle fidanzate di turno o di sveglie che suonano per ricordare un impegno preso. Ma degli oramai insostituibili smartphone. 
Immagini come questa non sono rare e stanno diventando tristemente ricorrenti. Non passano cinque minuti da quando ci si siede che conquistano la ribalta, uno dopo l'altro, i più moderni e tecnologici gingilli. Non per essere mostrati, perchè questo lo si faceva qualche anno fa, quando si respirava ancora il profumo della novità. Ora a nessuno interessa osservare e valutare l'Iphone di Luca o il Samsung-Android di Marco. Queste cose le fanno coloro che ancora non li possiedono, immaginando possa trattarsi di oggetti semi divini. Ognuno si eclissa nel proprio mondo, connettendosi sui social network, geolocalizzandosi, riorganizzando o taggando foto scattate in ogni mentre e in ogni dove. I quattro amici diventano quattro estranei e il telefono non  vale più una sbirciatina tra una conversazione e l'altra, per controllare se la fidanzata ha chiamato. Succede il contrario, e tra un aggiornamento andato a buon fine e l'ultima applicazione scaricata può capitare che ci si sfiori con gli sguardi per un segno di approvazione. 
Ormai è la prassi, non c'è più nulla di cui stupirsi. L'uomo è diventato una sorta di estensione del proprio smartphone,  nemmeno il contrario, e da lui e su di lui dipende la propria vita.
Arriva una pizza dall'originalissimo abbinamento prosciutto e funghi? Fotografiamola, taggandoci sopra chi ci guarda su Facebook e commentandone il gusto.
Sentiamo dal tavolo vicino nominare un termine sconosciuto? Colleghiamoci a wikipedia e tutto è risolto. Non importa se abbiamo fatto il classico e potremo dedurne l’etimo.
Una musica in sottofondo che ti piace ma non conosci? C’è Shazam e in cinque secondi conosci titolo ed autore.
Per carità, grandi invenzioni, ma alla fine, da quella serata, non ci rimarrà un gran ché del nostro amico con cui abbiamo cenato, o della nostra compagna/o. Perché queste cose succedono sempre più anche alle coppie e i rapporti perdono di senso e spessore.
E allora non stupiamoci se un ristoratore di Los Angeles, Mark Gold , ha deciso di applicare uno sconto del 5% ai clienti che “riescono” a spegnere il telefono a pranzo o cena, per non disturbare ma soprattutto per non isolarsi, restituendo senso ad un momento, quello conviviale, che serve anche ad unire e creare socialità. Ma siamo sicuri che iniziative come queste riusciranno ad attecchire?    

Simone Ariot