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giovedì 23 maggio 2013

Il Giro nel cuore dei Berici

Il passaggio dei campioni alla alita degli Ulivi

*testo completo dell'estratto pubblicato oggi su Il Giornale di Vicenza

Il mondo gira tondo. I giorni del Giro d’Italia piu' di altri, quando uomini e donne assetati d’ imprese si riversano in strada in attesa di qualcosa. Non sanno nemmeno loro ciò che cercano, ma aspettano il Giro, evento non semplicemente sportivo, che una volta l'anno si fa strada nella memoria dei percorsi che tocca. Non è il calcio dei mondiali, dove il sentimento nazionale abbatte di colpo depressioni e rivalità. Non è la maratona olimpica con in testa un connazionale, di cui  nelle  successive ore si conosce vita, morte e miracoli del nuovo eroe. Non è nemmeno il motociclismo, con l'Ago o il Valentino nazionale che fanno sognare un mondo troppo veloce e lontano. Sui colli Berici come al Gavia, nella bassa emiliana come nella neonata Napoli, il giro è molto di più. E' un fenomeno collettivo antimediatico, dove una telecamera passa in secondo piano e ci si dimentica della diretta tv. E' un'esperienza da vivere e da condividere, sentendo che la propria strada diventa regina, una volta sola. Poi, sarà tutto come prima, con le scritte esortative  sull'asfalto pronte a sbiadire, a segnare il tempo come una memoria che scorre e un giorno, salendo per Barbarano in piedi sui pedali, ci si sentirà Sella o Pozzato, e quella pedalata avrà il timbro della storia, incorniciata in taverna o sullo screen saver del computer.
Tifosi in attesa del passaggio

Sui colli Berici si fa fatica a trovare uno spazio lungo la strada, il popolo dei corridori vicentini non si è fatto attendere ed è accorso in massa, dimenticando per un giorno il proverbiale stakanovismo. Cda e ricerche di clienti nella giornata del giro sono rallentati. In molte aziende è stata la corsa ai permessi, ma se anche il Commenda è un ciclista, la chiusura anticipata è quasi obbligatoria. Perchè ce ne sono migliaia, di uomini lavoratori puri ma al contempo amanti del ciclismo, sport di fatica e tenacia. Come Luca, operaio di Monteviale, che ha staccato alle due e per non perdere tempo è andato in fabbrica direttamente in bici. O come Franco, per gli amici Franchino, che continua a fare battute nonostante abbia dichiarato fallimento la scorsa settimana. 
Il Giro non me lo tocca nessuno. La mia tragedia oggi è in pausa”. Sia chiaro, i tifosi veri o improvvisati, i curiosi, gli appassionati storici e dell'ultima ora, arrivano ai Berici in bici. Sia mai. Quella strada l'hanno percorsa decine o centinaia di volte, ma non è mai stata così. Complice un sole che scompare talvolta per pochi secondi e un vento che distende, i racconti e le storie che si ascoltano sono le più varie. Qui, dopo il sentiero della pietra, si parla di campioni del passato e del presente, di clienti persi e nuove strategie, di matrimoni che scoppiano e bimbi che nascono. Si parla di vita e di sogni, dei ragazzini che non pedalano più e degli amatoriali che rischiano l'infarto. I Berici, in questo santo giorno, tornano ad animarsi.  E se c'è' chi pensa sia il caso di pensare al Parco dei Berici, come sugli Euganei, c’è chi invece si prenota per l'anno prossimo, non sapendo se ancora una tappa passerà o partirà  da qui.
 Poi, superato Lapio e la sua temibile discesa, comincia la strada veloce di chi al Giro ci va in auto, di chi si affaccia ai balconi, di chi passa lì per caso. Mamme e nonne, pensionati e ragazzini attoniti, commessi fuori dai negozi e impiegati in pausa negli uffici aspettano tutti la volata a 60 km/h. L'arrivo e' una corsa, i media guadagnano la scena, la poesia si spegne e la musica sale.  Ma sulle strade dei Berici, passata la tappa, rimane impresso sull'asfalto il sudore dei campioni. Gia' questo, per Vicenza e gli infiniti appassionati che conta, e' un segno della storia. Dalla quale ripartire.

Simone Ariot

sabato 11 maggio 2013

Pre-diciottesimo, debutto in salsa trash

La dilagante moda degli inguardabili video di compleanno. Che per fortuna nel nord Italia devono ancora arrivare. Per ora.


Una volta si chiamava debutto in società. Rigorosamente sangue blu, rigorosamente  smoking e vestito lungo, con l’invito in carta intestata e l’immancabile r.s.v.p. che faceva tanto ricevimento in ambasciata. Una tradizione perpetuatasi per secoli e ancora non defunta, almeno tra chi di cognomi nella carta d’identità ne ha almeno tre, e che talvolta è fuoriuscita dai rigidi binari dei blasoni per coinvolgere l’alta e media borghesia.  
Oggi, di un debutto, non si sa che farsene. Le occasioni per incontrarsi si sono moltiplicate e per conoscersi e farsi conoscere si usano le tecnologie virtuali. Cosa c’è di meglio quindi di un bel video promozionale di se stessi, anticipando il proprio 18° compleanno? Pochi ingredienti e  semplici da reperire: Una videocamera, vestiti appariscenti, trucco esagerato per le femminucce e pettorali esibiti per i maschietti. ll gioco è fatto, basta aggiungere qualche centinaio di euro che uno dei tanti fotografi dell’ultima ora sarà pronto ad incassare. (un video prediciottesimo costa dagli 800 ai 1500 euro).
I pre-diciottesimi (ma non mancano i pre-matrimoniali, le pre-comunioni…) sono l’esigenza del momento, almeno  in sud Italia. Video di pochi minuti dove ragazzini sbarbati e giovincelle giunoniche sfilano in posa fra spiagge ai primi soli e campagne deserte, ammiccando alla telecamera con lo sguardo antispontaneo. Dietro le quinte aspettano i  genitori tutt’altro che imbarazzati, pronti a schiaffare il video su Youtube sperando nel cortocircuito da visualizzazioni. Se Amici di Maria de Filippi e Uomini e Donne hanno imperversato sul piccolo schermo per anni, qualcosa avranno pure seminato no? E allora eccoli, i nostri piccoli grandi protagonisti, all’alba della maggiore età, pronti a celebrarsi nel ridicolo, nel kitsch, nel pacchiano e, soprattutto, nell’inutile. Corpi sgraziati, a volte proprio inguardabili, che si strusciano sulla sabbia o si fidano all’infinito declamando senza dir nulla quel verso alla Zoolander che racconta l’inconsistenza. Le musiche di sottofondo rigorosamente hit parade da disco commerciale, battuta al punto giusto, in grado di rendere ancora più irreale la scena.
Ci si chiede quale tipo di homo minus habens  ( puer vel puella) sia celato dietro quel volto che finisce sulla rete del Mio tubo (Youtube), e che così manifestatamente è pronto a farsi sbranare dai commenti delle decine di migliaia di visitatori. Perché questi non mancano, e possiamo assicurarvi che quando se ne guarda uno parte una sorta di stimolo, una droga, che ti costringe al rimanere incollato sul pc e guardarne almeno altri venti. Una mania, una forza troppo grande per essere ostacolata, spiegata forse dall’inspiegabile che questo fenomeno porta con sé. Non uno o due, ma decine e decine  di minorenni  (numero che ogni giorno cresce) pronti a farsi immortalare, ognuno con le sue buone ragioni. C’è chi lo vede come il migliore dei regali possibili, chi una strategia per catalizzare l’attenzione su di sé,  per alcuni invece è il riscatto dopo un’adolescenza difficile che deve finalmente aprire le porte ad una vita adulta, fatta di lavoro che non c’è, famiglie che si sfaldano, nevrosi che crescono. Un mare di motivi per essere felici, almeno in quei quattro minuti, e sorridere o ammiccare al mondo. Possibilmente con la faccia da duro o tutte scosciate. Perché non si sa mai che tra  gli spettatori del video possa esserci qualche buon partito, e allora perché perdersi una simile occasione? Diciotto anni si fanno una volta sola. Per fortuna diciamo noi. Perché un video di pre-diciottesimo basta e avanza.



Simone Ariot

giovedì 2 maggio 2013

Parla come mangi. Fenomenologia delle parole-fastidio.



Ci sono parole che non sopporto. Spesso sono inglesi, ma le odio soprattutto quando sono inserite in discorsi in italiano. A volte riescono a trasformare totalmente un’idea, una cosa, un fenomeno, aggiungendo connotati positivi e rendendo l’oggetto o il mondo che rappresenta quasi unico. Basta pronunciarle che ci si sente subito proiettati dentro la cerchia giusta di quelli che contano e che ne condividono non solo il significato ma anche la filosofia. Spesso queste parole, se sostituite con il corrispettivo italiano da cui talvolta derivano, diventano inequivocabilmente inadatte, demodé, sciacquate.
Le parole fastidio le chiamo io.
Nel 2012 ha vinto la mia personale classifica il termine spread, esempio perfetto e assoluto di parola  incompresa dalla maggior parte della popolazione ma allo stesso tempo strautilizzata. In pochi mesi è passata dallo 0,001% di diffusione al 98%. Il 2% che non l’utilizzava era composto da NO global (parola fastidio dell’anno 2001) e suore di clausura, anche se si mormora che tra le grate del monastero canossiano di Verbania una suora poi morta pronunciò l’innominabile termine.
Nel 2013, con 7 mesi di anticipo, i bookmaker (parola fastidio del 2006, introdotta per le scommesse della finale mondiale vinta dall’Italia) ipotizzano che a contendersi il titolo saranno tre lemmi, a meno che nei prossimi 7 mesi non ne nascano di nuove. Start up, Mainstream, Hipster.

Giovani felici ed energici. Hanno appena perso il lavoro a tempo
 determinato e ora sono  pronti ad investire la liquidazione e l'eredità dei nonni
 in una start up che  progetta applicazioni per imparare a ruttare

La prima è ormai sulle bocche di tutti. Ognuno vuole aprire una start up, ma se gli si propone di aprire un’azienda rifiutano l’invito. Una start up è più cool (parola fastidio 1996), easy ( parimerito nel 1988 grazie alla riscoperta del pezzo di Lionel Richie), riguarda un prodotto o una tecnologia mobile ( 4° classificata per i bookmaker 2013, ma alcuni prevedono rimonte) a cui si accede grazie al proprio essere e sentirsi young!
Mainstream è la scoperta degli ultimi mesi. Chi la usa sa di non essere compreso. Nemmeno lui ne conosce il significato. Si sa che certe cose lo sono, certe altre no. E, attenzione, a mainstream non corrisponde necessariamente un significato positivo. Perché mainstream parla di un universo  convenzionale, dominante, di tendenza.

Vuoi mettere Hipster?! 

Per Wikipedia il termine indica giovani di classe medio-alta, istruiti e abitanti dei grandi centri urbani, che si interessano alla cultura alternativa (o presunta tale) - “non mainstream” - come l'indie rock, la musica elettronica, i film d'autore e le tendenze culturali emergenti. Un buon Hipster con i suoi baffi e i suoi ciuffi pazzi conosce il mondo mainstream  molto bene, così bene da poterlo superare, surclassare e annientare. Gli Hipster sono una tendenza minoritaria, radical chic ( parola fastidio 2003 ), fixed adepti e un po’ Straight edge. Non sapete cosa significa? Allora siete proprio out! Fumatevi un joint che è meglio.

In mezzo a molte Lamborghini che rappresentano la tendenza mainstream, un'auto hipster si fa riconoscere

Simone Ariot