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lunedì 20 febbraio 2012

Pausa forzata




A volte si deve. E, purtroppo, quando si tratta di scegliere, si fa una scelta amara e si va in pausa con ciò che più si ama.
Infatti sta andando così: in questo periodo zero sport , non una discesa con gli sci, il blog che perde post per strada, cineforum dimenticato da due mesi, buon cibo scomparso dal palato, riviste alle quali sono abbonato che mi aspettano lì, nel comodino delle cose dimenticate, ancora incelofanate, che mi guardano implorandomi di aprirle...........Purtroppo a volte è così, si è sommersi dal lavoro, e quando hai un paio d'ore .......crolli, letteralmente. Nel senso che magari arriva una giornata che si potrebbe sfruttare per fare ciò che si ama e invece le forze vengono a mancare e ........ci si addormenta, letteralmente. Poi, ti svegli una mattina in orari in cui non c'è più il buio, ti senti riposato, e ti rendi conto che ci sono 60 temi da correggere e altri 20 test di Dante da finire! Guardi fuori dalla finestra, e capisci che la pioggia ci sta, almeno non ti viene voglia di uscire per fare una passeggiata! Poi apri il pc, e noti che mancano 3 giorni alla chiusura in redazione delle prossime riviste e che mancano ancora 6 pezzi da scrivere.........ma non basta. In questi momenti chiaramente capitano anche gli imprevisti, il dentista, il commercialista, mille cose tutte insieme. E poi gli altri progetti, le consulenze che slittano, il cliente che non ti paga e che devi andare a recuperare.......

A volte è proprio un bel casino!

Ricordo quando ero adolescente, e dentro di me pensavo a come sarebbe stata la mia vita a 30 anni. La immaginavo piena di tempo libero, con la sola preoccupazione di dover decidere cosa fare, a quale tra le tanti passioni avrei potuto dedicarmi, immaginando quasi per forza che il lavoro sarebbe stato lì presente a chiederti poco e offrirti molto. Poi, un po' alla volta ma probabilmente troppo in anticipo, la vita vera ti arriva addosso e ti rendi conto che di tempo non ce n'è, che si smaterializza, che ti sfugge dalle mani. In men che non si dica ti trovi a far parte di quel terribile club in gergo chiamato over 80, dove 80 non sono gli anni ma le ore di lavoro che si fanno in una settimana. Un club brutto e triste, dove molti ambiscono ad entrare nel livello top, l'over 100, per consacrarsi a 15 ore di lavoro al giorno, sette giorni su sette. Ho visto l'over cento, l'ho conosciuto. In alcuni periodi dell'anno devo entrarci, ma mi auguro che accada sempre meno perchè è proprio un brutto mondo, una sorta d' inferno. Il fatto è che uscirne non è semplice. Senti come qualcosa che ti tiene legato lì, senti gli impegni che sono grandi, senti le aspettative degli altri, e le tue. Soprattutto senti la paura di finire  in quell'altro club, l'under money, quello di chi non arriva a fine mese avendo però molto tempo a disposizione. E oggi questa paura è viva in molti, anche in chi non teme la fatica, chi è propenso al sacrificio. I giornali ne parlano, il costo della vita è sempre più alto,  difficoltà a farsi pagare, ad ottenere contratti..... Per questo tra i due club, se devo scegliere, scelgo l'over 80, sperando prima o poi si trasformi in over 70, over 60, over 50, over 40.....e va bene così.  A volte è il prezzo che si deve pagare per poter raggiungere un obiettivo importante, una certa autonomia, o anche semplicemente per sapere di potercela fare e  poi non essere obbligati a farlo. L'importante è che non diventi l'obiettivo, la meta, la sola ed unica scelta. Per alcuni è così. Generalmente sono quelli che a 25 anni sognano di averne 40 e il successo garantito. A 30 sono contenti perchè non escono prima di mezzanotte dall'ufficio, a 35 sono esaltati perchè si sentono più fighi, più giusti, più desiderabili. A 40 si sentono soli, perchè tutti gli altri si stanno facendo una famiglia e guardandosi intorno scoprono di essere rimasti gli unici. Allora ricominciano a fare i 20enni, staccano un po' con il lavoro e giocano a divertirsi. Ma a quel punto è troppo tardi, e sono diventate delle macchiette per divertire gli altri. 
Oggi mi sono ripreso un po' del mio tempo, quello che mi faccio rubare ogni giorno dal lavoro, quello che quantifico in una sorta di clessidra semitrasparente che riesce ancora a mentire almeno un po'. Oggi mi sono alzato dal letto più tardi, ho fatto un po' di ginnastica giusto per constatare che ne ho bisogno, ho scritto questo post, ho fatto una colazione più lunga del solito, ho pensato. Oggi sono stato un po' più vivo, un po' più me. A volte fa bene. Vorrei riuscire a farlo più spesso, questo almeno è l'obiettivo. Speriamo di farcela, perchè ogni tanto ci vuole.

 Simone Ariot



mercoledì 1 febbraio 2012

Con un "corto" s'impara. E si insegna





Da qualche anno a questa parta il 27 gennaio ricompare ad intervalli regolari nel calendario scolastico alla voce “non ci sono lezioni”.  Molto spesso si trasforma in giorno della tristezza, giorno della perdita di tempo, giorno dello svago o , ancora peggio, giorno dello stare a casa. Sarei troppo politicamente corretto se volessi a tutti i costi sostenere che in questa giornata (scolastica s'intende) tutti gli studenti colgono l'occasione per ricordarsi, sensibilizzarsi o istruirsi rispetto un tema tanto delicato quanto importante. Molto spesso, purtroppo, non è così. Ma le occasioni possono rendere l'uomo migliore, se almeno decide di provarci! E qui ne abbiamo un esempio.
Alcuni studenti del liceo Quadri di Vicenza hanno girato un cortometraggio ( "Noi come loro") per ricordare la tragedia della Shoha, e l’hanno fatto in grande stile. Il premio? Una visita (non proprio allegra se dobbiamo essere sinceri) nei campi di concentramento nazisti dove furono rinchiusi e torturati gli ebrei vissuti in quella triste pagina di storia. Una gita insomma, diversa da quelle più tradizionali a Parigi o Roma, ma pur sempre una gita, da conquistarsi con tutte le forze. Non bastava certo partecipare: bisognava vincere. 
Diciamo subito che non ce l’hanno fatta, e poi scopriremo il perché, ma questo non toglie che il loro lavoro  sia molto apprezzabile e soprattutto creativo. Questa parola che mi sta a cuore entra in gioco in un lavoro di gruppo ( cooperative learning lo chiamano i moderni pedagogisti) tutt’altro che semplice. Stefano Niero, fratello d’arte del regista Tiziano, ci ha raccontato l’esperienza fatta insieme ad alcuni compagni, tra i quali non posso non citare alcuni dei protagonisti del corto come Francesca Baldisseri, Luca Mattarolo, Giovanni Munaretto, Luca Dal Zovo, Diego Lombarda, Carolina Fanchin, Alessia Zaraccolo e Kristian Ristov. Una squadra al completo per dimostrare, ancora una volta, che quando a scuola si porta la creatività si impara di più, ci si diverte, e si lascia un segno.

- Perchè avete deciso di partecipare al concorso?
Ci è sembrata una buona occasione per conquistare una gita. Io, personalmente, ero interessato a fare quest’esperienza da regista e vedere un po’ cosa riuscivo a produrre.
 -Da quante persone era formato il gruppo di lavoro e quali ruoli avevate?
 Ad aver partecipato al corto eravamo una decina, il resto dei compagni ha dato il suo contributo allo spettacolo teatrale collegato ad esso. C'erano attori,regista, montatore, tecnici.
- Dove avete girato il filmato? Perchè la scelta del cortometraggio e non altre forme di comunicazione, magari più semplici da realizzare ( ex disegni, articoli...) ?
La prima parte è stata ambientata al cimitero acattolico di Vicenza, la cattura nel nascondiglio l’abbiamo girata nella mia cantina mentre per il trasporto e l’esecuzione ci ha ospitato la campagna ai piedi dei colli Berici. La scelta del corto…. Ci sembrava un’idea più concreta e originale, rispetto alla solita rappresentazione teatrale. Avevamo pensato anche ad un’animazione con i Lego ma è stata scartata all’ultimo.
- Quanto tempo avete dedicato al progetto?  Non poco, soprattutto io e Kristian, che si è occupato del montaggio. Direi diversi pomeriggi, circa una ventina di ore tra organizzazione, riprese e montaggio.
Siete soddisfatti del risultato  finale? 
Beh “ogni scarafone è bello a mamma sua”! Però ho ricevuto diversi apprezzamenti quindi mi considero abbastanza soddisfatto. Sono contento, anche se ormai mi esce dalle orecchie da quante volte l’ho visto e purtroppo non abbiamo vinto il concorso (aperto a tutte le classi quarte del liceo Quadri).
-Cosa vi ha insegnato questa attività?
Mi ha insegnato ad organizzare  un gruppo di lavoro e a prevedere gli imprevisti che sono stati molti. L’idea originale era un po’ diversa dal risultato, soprattutto nelle location scelte, ma alcuni di questi imprevisti credo abbiano giovato al risultato finale (il luogo per il nascondiglio iniziale ad esempio). Però ci ha lasciato un po’ di amarezza la premiazione del concorso perché alcuni dei progetti vincenti non erano affatto originali. Uno era stato copiato da unospettacolo di Paolini ad esempio. Non sempre vincono i migliori, non dico che i migliori fossimo noi, ma credo che avremmo potuto giocarcela con altri progetti.
-Pensi che la scuola debba sperimentare maggiormente queste occasioni in cui agendo si impara? ad esempio attraverso sistemi alternativi di insegnamento e apprendimento, come in questo caso?
La scuola dovrebbe sperimentare maggiormente queste attività, fanno fare esperienza nell’organizzazione e soprattutto nella collaborazione all’interno del gruppo. Questi sistemi alternativi sono senz’altro molto efficaci, ma andrebbero seguiti e curati un po’ di più e accolti con più partecipazione dagli studenti.

Dalle parole di Stefano traspare una nota di critica in queste ultime parole. Una nota significativa. Le occasioni sono utili, a volte ci sono, ma non sempre gli studenti le sanno sfruttano, pensando quasi che sia normale averle, o ancora peggio pensando che le avranno per sempre. Nulla di più sbagliato. Carpite diem, adulescentes!

Simone Ariot