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lunedì 28 novembre 2011

Ci piace tutto, amiamo poco.


vs



Mi piace qualcosa.
Amo qualcosa.

Che differenza c'è?

Nessuna direbbero in tanti, solo una piccola variazione lessicale, una minima e inavvertibile sfumatura che scomoda solo i puristi della lingua.
E invece NO, e non ne facciamo una questione squisitamente linguistico-glottologica, ma filosofico- ideologica.
Perchè tra un "mi piace" e "amo" c'è una bella differenza.

Risulta difficile da spiegare e dimostrare, sequestrati come siamo da una terminologia di facebookiana memoria dove un I like non lo si nega a nessuno, ma oggi si è sempre più in preda ad una tendenza fastidiosa quanto diffusa che vuole, a tutti i costi, l'essere umano come animale apprezzante. Quasi si volesse ribaltare il noto aforisma cogito ergo sum di Cartesio in un aestimo ergo sum (apprezzo quindi sono), escludendo invece la possibilità di un ben più nobile (e faticoso) amo ergo sum. Forse perchè oggi easy is more, e pensare di amare qualcosa, per carità, sembra troppo complicato! Ci si trova quindi con 32.000 canzoni nell' iPod senza mai averne ascoltata una interamente, 4999 amici in Facebook,  collezioni di biglietti Ryanair  da poterli mettere uno dopo l'altro e camminarci sopra facendoci il giro del mondo, ma non essere mai, nemmeno una volta, usciti dallo stereotipo del tour organizzato del paese ospitante. Ma le canzoni non le ascoltiamo certamente tutte, ma solo per una ventina di secondi, così come con le persone. Un amico è su Facebook, ma non lo conosciamo veramente. Non sappiamo riconoscerlo per strada, ad una certa distanza, non ne conosciamo i gusti preferiti, non prevediamo le sue battute.
E ciò che c’è intorno non aiuta. Non  aiuta per la velocità con cui arriva e se ne va, non aiuta perché tutto diventa vecchio e superato. Invece per amare qualcosa bisogna prendersi del tempo, avvicinarsi magari con lentezza, osservare da diverse angolazioni. Ma oggi, oggi no, non si può, altrimenti si corre il rischio di perdersi a sognare, sganciati dal mondo che corre avanti a tutta birra, capace di illudere della sua consistenza, incapace di essere amato. Ma solo apprezzato.

Simone Ariot




lunedì 21 novembre 2011

Ulisse, l'uomo moderno che ci chiama.





Luca ha 33 anni, due figli, una laurea in fisica e un impiego da ricercatore. Studia le cellule tumorali ed è vicino ad una cura per combattere il cancro. Lo volevano le multinazionali farmaceutiche e lo aspettavano una Porsche e i week end a Cortina. Ha detto NO, ha scelto di  viaggiare su una Punto scassata, pagare le interminabili rate del mutuo e andare in vacanza in campeggio, anche quando fuori piove. Luca come Ulisse sceglie, e sceglie di essere uomo, mortale, forte e debole al tempo stesso, coraggioso e pauroso. Luca come Ulisse vive le contraddizioni della vita affrontandole a testa alta, si sveglia ogni mattino con la consapevolezza che la vita è difficile e noi, essere umani, siamo solo uomini, o donne. E questo non è certo poco, perchè essere uomini significa scegliere la strada più difficile, più dura, più impervia, per sapere che alla fine, a prescindere dai risultati, sarà la strada giusta. Essere uomo significa anche voler andare oltre ciò che c'è e si conosce, significa voler abbattere i confini, non solo quelli del gretto municipalismo cerebrale, anche quelli della scienza, della cultura ufficiale, del canone. Significa, per Ulisse, andare oltre le colonne d'Ercole, oltre i confini conosciuti. Per Luca significa andare oltre le conoscenze scientifiche esistenti, per varcarle, superarle, abbatterle. Per Ulisse essere uomo è rinunciare all'amore di una dea, di Calypso, per Luca stare insieme a Chiara, che qualche diffettuccio lo ha, ma è bellissima così. Per Ulisse essere uomo è rinunciare a diventare Dio, per Luca rinunciare  ad un premio che gli darebbe molta visibilità e poche conoscenze (scientifiche).  
Ci sono molti Luca tra noi, e quindi molti Ulisse. Li vediamo tutti i giorni e tutte le mattine mentre sfidano la quotidianità, mentre affrontano le piccole e grandi insidie di una dimensione di vita che di certo non è sempre facile. Ulisse, eroe moderno e antico al tempo stesso, indica la via maestra da seguire, consapevole che non solo offrirà bocconi amari da ingoiare, ma addirittura un posto all’Inferno. E allora? 
Anche l’Inferno sarà una prova. E Ulisse l’accetterà.
Simone Ariot

martedì 15 novembre 2011

Parola campione d'incassi: SPREAD




Fino a pochi giorni fa nessuno l'aveva mai sentito nominare. Oggi esce dalle bocche di tutti, ma continuano ad essere in pochissimi a comprenderne il significato. Stiamo parlando dello SPREAD, termine finanziario che letteralmente significa "ampiezza", e che indica in sostanza la differenza tra il valore di titoli di Stato di un paese in deficit e uno in "salute". Nel caso specifico, tra l'Italia e la Germania. Non vogliamo essere tecnici e occuparci di valori economici, eccessi di rialzo e altre astruse  complicazioni, ma piuttosto osservare( sarebbe  meglio dire interessarci ) dello stato di utilizzo di un termine, per verificare staticità o dinamismo. Stando a quanti oggi usano questo termine, ci verrebbe da dire che si tratta di una parola in movimento, sana, vegeta. Il problema è che viene usata senza conoscerne il significato. E tu, dicci la verità, lo conoscevi?

Simone Ariot

domenica 6 novembre 2011

Piove. Per Montale e non solo



Senza commento, senza analisi, senza introduzione. 


                                  PIOVE       E. MONTALE


Piove. È uno stillicidio 
senza tonfi 
di motorette o strilli 
di bambini.
Piove 
da un ciclo che non ha 
nuvole. 
Piove 
sul nulla che si fa 
in queste ore di sciopero 
generale.
Piove 
sulla tua tomba 
a San Felice 
a Ema 
e la terra non trema 
perché non c'è terremoto 
né guerra.
Piove 
non sulla favola bella 
di lontane stagioni, 
ma sulla cartella 
esattoriale, 
piove sugli ossi di seppia, 
e sulla greppia nazionale.
Piove 
sulla Gazzetta Ufficiale 
qui dal balcone aperto, 
piove sul Parlamento, 
piove su via Solferino, 
piove senza che il vento 
smuova le carte.
Piove 
in assenza di Ermione 
se Dio vuole, 
piove perché l'assenza 
è universale 
e se la terra non trema 
è perché Arcetri a lei 
non l'ha ordinato.
Piove sui nuovi epistèmi 
del primate a due piedi, 
sull'uomo indiato, sul cielo, 
ottimizzato, sul ceffo 
dei teologi in tuta 
o paludati, 
piove sul progresso 
della contestazione, 
piove sui works in regress, 
piove 
sui cipressi malati 
del cimitero, sgocciola 
sulla pubblica opinione.
Piove, ma dove appari 
non è acqua né atmosfera, 
piove perché se non sei 
è solo la mancanza 
e può affogare.