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giovedì 21 gennaio 2010

Less is more



"Ieri a Rouen il signor Colombe si è ucciso con un colpo di rivoltella. Nel marzo scorso sua moglie gliene aveva sparati tre. I due erano in attesa di divorzio".

Il 24 dicembre, visitando una libreria, una triste constatazione: In tutto il 2009 avevo letto meno della metà dei romanzi che solitamente ingurgito in un anno. Dovevo assolutamente saldare il debito con la letteratura, e avevo solo una settimana! Romanzi in tre righe, libro di Félix Fénéon, faceva al caso mio. La formula Fénéon è molto semplice: una riga per l'ambiente, una per la cronaca più o meno nera, una per l'epilogo a sorpresa. Grazie alla fantasia dirompente di un impiegato ministeriale nato a Torino e vissuto in Francia a cavallo tra 8 e 900', schiere di studenti, bo-bo ( Bourgeois-bohèmien ), insegnanti di lettere con sensi di colpa o sedicenti appassionati lettori possono finalmente smetterla di sentirsi in colpa: in un paio di minuti si riescono a leggere una decina di romanzi, riallineandosi alla media di lettura dei bei tempi che furono.
Il medico incaricato di eseguire l'autopsia sul cadavere della signorina Cuzin, di Marsiglia, deceduta in circostanze misteriose, afferma essersi trattato di suicidio per strangolamento." Se invece non avete motivo di sentirvi in colpa per mancanza diretta di frequentazione letterarie sapiate che Fénéon lo si può ringraziare almeno per un altro motivo. Ci insegna che a volte "Less is more", come diceva l' indimenticato Mies van der Rohe, "Il meno è più". Non serve cercare sempre e solo il il dettaglio del dettaglio del dettaglio, ma soffermarsi sull' essenza, che deve essere chiara, ben espressa, lucida e snella. Parole taglienti usate da una figura della letteratura francese che per primo ha coniato il termine impressionismo e che ha prodotto un'innumerevole serie di critiche letterarie sule più autorevoli riviste francesi. Scopritore di Mallarmé e Rimbaud,apprezzatissimo redattore di rapporti ministeriali e segretissimo scrittore di letteratura, per anni pubblicò sulle pagine del quotidiano Matin questi brevi esempi di letteratura. Fatti reali e accaduti, maestosamente trasformati in brevi romanzi. Grazie al fatto raccontato? Anche, ma soprattutto grazie allo stile e alle parole usate. Less is more!

"Domenica, un sommozzatore di Nancy, Vital Frérotte, è morto per una banale errore. Era appena tornato da Lourdes, definitivamente guarito dalla tubercolosi."

Ma tutto ciò non vi ricorda Twitter? ne riparleremo,.... o ne parlerete voi.

Simone Ariot

mercoledì 13 gennaio 2010

Creativamente ozioso



Ore 23:10. Sono appena rincasato dopo le mie solite 15 ore di lavoro, d' altra parte ero uscito di casa alle 8 del mattino. Ho fatto lezione, un consiglio di classe, risposto a una ventina di mail e spedite altrettante, ho letto 3 racconti dei miei studenti e una quindicina di recensioni, poi ho impostato le lezioni di domani. Ho parlato di letteratura con una collega e presentato alcune idee al preside. Mi sono trovato con un amico all'ora dell' aperitivo per parlare di una questione di lavoro ma poi abbiamo incontrato x e da li è nata l' idea per un nuovo evento da organizzare. Poi, a cena con y, abbiamo discusso di come usare i social network nei business e in quel momento ricevo un sms da k che mi segnala una richiesta di consulenza pervenuta da una società che opera nel settore del turismo. Guardando la bottiglia d' acqua che avevo davanti noto una parola che corrispondeva al titolo della poesia spiegata in classe e collegandola al turismo ho un' illuminazione. Quelle poche parole erano perfette per il testo della pubblicità che devo consegnare tra pochi giorni. Torno a casa e mi rimetto al pc, controllo l' ultima posta e approfondisco alcuni fatti che m' interessano.

Scusate, ma oggi ho lavorato o mi sono divertito?

Togliamo quelle 4 ore di lezione e l' ora del consiglio di classe per le quali la mia presenza era obbligatoria e ne rimangono comunque 10. Si trattava di lavoro o di divertimento? Di cose importanti o futili?
Un tempo i latini ( e vedete che ritorna sempre il mio primo lavoro d' insegnante) parlavano di due realtà molto lontane: Otium e negotium.
La prima era un' attività dedicata all' arricchimento culturale, allo studio, a ciò che comporta un' evoluzione spirituale e disinteressata dell' animo: leggere, disegnare, dedicarsi alle arti, parlare di argomenti colti con amici.
Con il termine negotium, al contrario, si indicavano le attività finalizzate all' arricchimento in senso economico ( da qui il concetto di negozio come luogo fisico in cui si vende), dando per scontato che queste fossero incompatibili con una dimensione culturale. Nel corso dei secoli il concetto di otium ha assunto un' accezione negativa, quasi di perdita di tempo, di svacco ("smettila di oziare in quel divano!!")arrivando all' idea che le sole cose serie fossero quelle che portano un'arricchimento sul piano monetario.
Ora si assiste a una rivalutazione del concetto originale di otium con un' aggiunta che non fa certo male, soprattutto in tempi di crisi come questi in cui si avverte uno straordinario bisogno di creatività. Potrebbe sembrare un ossimoro ma l' ozio creativo, teorizzato dal sociologo Domenico De Masi, è proprio la condizione in cui mi sono trovato oggi. E' un lavorare divertendosi, facendo ciò che si ama e che non pesa. E' una realtà in cui i confini tra il lavorare, sperimentare, giocare e comunicare si confondono e si lascia libero spazio a quella creatività che di fatto è soprattutto fantasia.
In tempi in cui dei noiosi e ripetitivi lavori della produzione se ne occupano le macchine, all' uomo non rimane che farsi venire un'idea e trovare le soluzioni per realizzarla, possibilmente seguendo una strada nuova e non percorsa da tutti. E' proprio in questi momenti che realtà appartenenti a mondi solo in apparenza lontani entrano in comunicazione. E' in momenti come questi che un poeta dell' 800 torna utile al pubblicitario del 2010, o che viceversa un blog nato per una comunicazione non formale diventa strumento didattico destinato a giovani liceali. E' trovare in tanti link, infiniti, un collegamento comune, dovendosi preoccupare delle scelte.
E uno studente......, come può trasformare il suo studio in uno studio ozioso ( in senso latino) e creativo?


Simone Ariot

mercoledì 6 gennaio 2010

Largo agli anni 10'.


Sono arrivati, nemmeno troppo annunciati e privi di quel calore mediatico che come un' onda ci sta abituando ad accompagnare l' arrivo dei momenti più significativi.
A dire anni "10'" ci vengono in mente cartoline in bianco e nero liberty di un secolo fa, invece no, eccoli qui, protagonisti di un nuovo secolo e silenziosamente scesi dalla cometa delle novità.
Cosa ci porteranno gli anni 10'? Successo, amore, pace, soldi e salute?
Non credo, o meglio, non credo solo tutte queste belle cose.
Forse non ve ne siete accorti ma questi anni zero sono volati come solo le cose nuove volano. Sono stati anni di transizione tra il vecchio e ciò che sarà il nuovo.
Una sorta di passaggio epocale, simile a quello che aveva colpito la fine del settecento in Europa e più propriamente la Francia nel passaggio tra ancienne e nouveau regime. Ma ora non si parla di estensione dei diritti umani o nuovi modi di produzione. Al centro di questo gran cambiamento c'è quella che oggi viene chiamata era digitale.
Forse non tutti se ne rendono conto ma solo dieci anni fa sarebbe stato inimmaginabile pensare che un insegnante come il sottoscritto potesse comunicare con i propri studenti ed altri ancora attraverso il web e che potesse far conoscere la propria didattica ad una comunità virtuale allargata e forse sconosciuta.
Pensate bene, dieci anni di sperimentazione, lenta sperimentazione in cui le persone cominciano e prendere confidenza con una nuova realtà che nel giro di poco tempo diverrà di tutti e per tutti.
Cent' anni fa cominciarono a circolare le prime auto. Roba da ricchi, da pochi privilegiati. Quando se ne vedeva una era come avvistare un ufo. Oggi, in Italia, circolano 34 milioni d' automobili, una ogni due persone. Solo vent' anni fa avere un computer era cosa rara, pochi smanettoni potevano possederne uno, oggi non avere un pc significa automaticamente essere esclusi dalla società. Per non parlare del telefono cellulare: quando nel 98' sono usciti i primi modelli a scheda si trattava ancora di uno status symbol non indifferente, associabile ad imprenditori e uomini d' affari. Oggi, bambini di sette anni sanno già scambiarsi file bluetooth............
La diffusione della tecnologia, per non parlare della sua semplificazione massima d' utilizzo e il costante perfezionamento, è già arrivata.
Ora si comincerà ad utilizzarla nella quotidianità, nel lavoro e non solo nel tempo libero. I medici norvegesi che si coordinano via I-phone o i blogger statunitensi che lanciano agenzie di stampa attraverso un neetbook non sono più scenario da film spaziale, così come non lo saranno gli studenti che si recheranno a scuola con un e-book elettronico e un mini laptop dove prendere appunti, vedere filmati, registrare lezioni e trasmettere presentazioni delle proprie ricerche.
Oggi comincia ufficialmente un nuovo modo di imparare e di produrre cultura, alla quale gli studenti sono già pronti, la maggior parte dei professori molto meno, la politica non ne parliamo. Ma la sfida è tutta qui, dimostrare che la tecnologia e la sua democratizzazione possono aiutare l' apprendimento, la cultura e la conoscenza.
Ora si esce dalla fase di sperimentazione durata dieci anni, e si entra in quella d' azione.
C'è stato un richiamo ufficiale? Un monito generale?
No, sono i tempi che corrono che ci impongono di adeguarci.
E noi lo faremo, facendo letteratura e comunicazione.
Benvenuti anni 10'!

Simone Ariot