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mercoledì 17 marzo 2010

Diamo un voto ai professori !



I nostri amici americani sono sempre più avanti. Non deve stupire quindi se viene proprio da loro il suggerimento di estendere la valutazione scolastica non solo agli studenti ma anche ....ai professori. Non gioite troppo miei cari alunni-lettori, si tratta solo di una proposta che in ogni caso avrebbe un valori solamente indicativo. Ma se in Italia gli insegnanti possono ancora dormire sogni tranquilli protetti da un garantismo che fa più danni che altro, nel nuovo continente quella del social rating è un'abitudine diffusa e consolidata. Con questo termine composto si intende appunto la valutazione da parte dell'utenza di un servizio, in questo caso offerto dalla scuola e dalle Università.
Come spiegano nell'articolo di Wired "presenza alle lezioni, disponibilità in orario di ricevimento, cortesia e interazione via mail, comportamento in aula e agli esami, capacità di esposizione e grado di aggiornamento tecnologico del professore e delle lezioni sono i parametri attraverso i quali gli studenti valutano i propri professori". Una dinamica di questo tipo, se resa pubblica, condiziona la percezione di un'istituzione educativa, indirizzandone gli sguardi del mondo intero, nel bene e nel male. Questo cosa significa? Ad esempio che un docente con un rating molto alto possa ottenere un'offerta di lavoro da una scuola più prestigiosa, con un considerevole aumento di stipendio. In altri paesi occidentali è la regola, nel belpaese si è tentata la via di internet e grazie a un sito si sono contate 28.000 valutazioni, con qualche minaccia di querela. C'è da chiedersi quanto possano essere obiettive le valutazioni di studenti che per ovvi motivi sono spesso portatori sani di odio nei confronti della categoria docente, ma allo stesso tempo è impossibile negare l'utilità di un sistema che generalmente offre più vantaggi che altro. Non solo agli studenti, ma anche e soprattutto agli insegnanti. Qualsiasi discorso inerente meritocrazia e introduzione dei livelli di carriera tra i prof. italiani (unica professione al mondo in cui non esiste la possibilità di carriera) non può prescindere da una riflessione sulla valutazione. Attualmente, infatti, il miglior insegnante d'Italia ed il peggiore non solo guadagnano lo stesso stipendio, ma il secondo gode dell'impunità nel caso decidesse di non faticare e abbandonarsi ad una sorta di vacanza perenne fra le mura scolastiche, faticando chiaramente di meno. E voi cosa ne pensate? Quali parametri utilizzereste per valutare i vostri prof. del presente o del passato? Avete esempi celebri da raccontare? Sono curioso. Molto curioso.

Simone Ariot

martedì 9 marzo 2010

©opiare? Tranquilli, in Italia se ppò fà!




Corso di recupero di italiano: uno studente legge la recensione ad alta voce in teoria scritta da lui e commissionata dalla sua insegnante quando, dopo poche righe, riesco a fermarlo continuandone la lettura. Cosa c'è di strano? Semplicemente il fatto che lui non mi aveva consegnato alcuna copia, me l'ero autonomamente procurata cercando in internet un riassunto della novella in oggetto (che non conoscevo). Lo sguardo stupito e sornione allo stesso tempo non riusciva a rivelare quella millantata furbizia in realtà inesistente. L'adolescente in questione non aveva fatto altro che copiare una recensione da internet, così come fanno tutti i giorni la quasi totalità di studenti italiani alle prese con temi, riassunti, recensioni e versioni latine, e consegnarla allo sprovveduto insegnante di turno. Ma a volte agli studenti va male e si trovano insegnanti digitali che ormai hanno scritto più parole su schermo che su carta. Stessa scena questa mattina. Mi arriva per posta elettronica un tema per casa di uno studente mandato al corso di recupero di italiano. Dopo nemmeno due righe capisco che il vocabolario utilizzato non può essere di un quindicenne e allora il copia-incolla lo faccio io, sulla barra di Google, rilevando non uno ma ben tre siti da cui aveva "preso spunto". Tranquilli, perchè per i puristi che sostengono che nei compiti in classe e agli esami la questione cambia, vi assicuro che non è così. Smartphone della nuova generazione assicurano connessioni veloci e stabili e senza troppi problemi l'effetto copia-incolla da pc può essere replicato.
Una società di studenti "copioni quando possibile" quindi, ma allo stesso tempo una società di insegnanti ingenui e miopi e nella maggior parte dei casi ancora analfabeti informaticamente; abili traduttori di antiche storie latine ma incapaci di comunicare al mondo, pronti a farsi beffare dall'adolescente di turno.
Quello che non si capisce è comunque il perchè di una tendenza prepotentemente italiana. Nei paesi anglosassoni il copiare è vissuto come una vera e propria mancanza civile. Un atteggiamento deplorevole prima ancora che perseguibile.
Ricordo i racconti di un amico italiano che ha studiato a Sidney e forte della sua proverbiale capacità nell'imboscare biglietti tentò il tutto e per tutto all'esame di macroeconomia. Sgammo immediato e conseguente espulsione dall'Uniersità. Ripeto, espulsione! In Italia, nel peggiore dei casi, sarebbe stato invitato a ripresentarsi all'esame all'appello successivo. Oppure il caso di A., che in una prestigiosa Università americana è stato sottoposto ad un vero e proprio processo accademico per una citazione inserita in un lavoro senza l'indicazione delle fonti. Esagerati? NO, semplicemente si attribuisce il giusto valore al lavoro prodotto da qualcuno.
Riprendere qualcosa scritto bene può essere saggio,soprattutto se la si sa inserire e contestualizzare, ma citare l'autore è d'obbligo! Non so se mi sono spiegato, ma se dico d'obbligo significa che è una questione di legge, non di morale.
Certo che fino a quando si continua a scrivere con l'inchiostro sui fogli di carta può essere più complesso per un docente monitorare il tutto, ma non preoccupatevi, se continuerò ad essere il vostro insegnante, da questo punto di vista, non avrete sconti.
Copiare insomma è una cosa particolarmente da loser, è rinunciare alla propria identità per assumere, tra l'altro senza comunicarlo, quella di un altro. In più è stupido, perchè comunque costa fatica, e se si deve spendere della fatica è meglio spederla per qualcosa che faccia crescere e migliorarsi. E non stiamo parlando di matematica o storia, per le quali non è molto semplice metterci del "proprio", stiamo parlando di lettere e nella fattispecie recensioni, temi, idee.... Scrivere un tema è come affrontare una seduta d'analisi, è un mettersi a nudo rispettando comunque un linguaggio, una forma e delle regole (e non poche). Perchè quindi vendersi in questo modo a quello stupido e insignificante Dio che si Fa chiamare "Pigrizia"? Ditemelo voi, se ci riuscite, perchè proprio un motivo non lo trovo, oltre la pigrizia stessa.


Simone Ariot

mercoledì 3 marzo 2010

Problemi di Tempo



Il tempo in una storia non è mica un elemento secondario. Che la si scriva o la si viva, un'avventura della vita è influenzata dal tempo che lo rubi o lo chieda, lo sfrutti o lo sperperi. Decidiamo di scrivere una storia e, zac, non c'è più tempo. Vogliamo immergerci in essa, e il tempo vola ed è già finito. Ci troviamo a una noiosa lezione di qualsivoglia materia.....e il tempo non passa più, scorre a rallentatore come un conto alla rovescia. Per non parlare di quando siamo in estasi, nella situazione migliore di questo mondo, e il tempo mette il turbo e scappa via.
Abbiamo uno strano rapporto con il tempo, successione di momenti che dividiamo in presente, passato e futuro e di cui percepiamo soprattutto quello che è già scorso rispetto a quello che scorrerà. Già Seneca, filosofo e letterato romano, diceva che la parte di vita che viviamo è piccola, il resto è tempo, perchè c'è molta differenza tra il vivere a lungo e lo stare a lungo in vita; proprio per questo il tempo andrebbe ben custodito, perchè non sappiamo quando ci viene a mancare. Sicuramente il presente è breve, il futuro incerto e il passato sicuro e l' afferrare il presente sarà la sfida in cui ogni uomo dovrà imbattersi in vita propria.
E nella scrittura? Domina il tempo o lo spazio? Ci condizionano maggiormente, da studenti, le tre ore per scrivere un tema, tre ore che passano a ritroso fino ad annullarsi al suono della campanella definitiva, o il bianco del foglio ancora privo di segni e contenuti, uno spazio geografico che cerca un riferimento?
Il tempo insomma ci condiziona, nelle dimensioni pratiche e in quelle intellettuali, anche se diversamente scandito ma fortemente presente, e tutta la nostra vita è in relazione al tempo. Tempo del giorno e della notte, dell'azione e del riposo, della vita e della morte. Unica certezza è che il tempo c'è, indipendentemente da quanto possa condizionarci.
E voi, che rapporto avete con il tempo?

Simone Ariot

domenica 21 febbraio 2010

Libero post in libero blog: sull' infelicità


Incondizionatamente o forzatamente emancipato nella volontà di non dover sempre dichiarare una parvenza di felicità inesistente, mi lancio in un post triste, perchè non si può essere sempre felici. O forse non lo si vuole, visto che in fin dei conti è proprio nello stato d'infelicità che si conosce il più tipico tratto umano.
Gli animali possono essere nervosi, spaventati, euforici, contenti di dimostrare affetto per qualcuno o di riceverlo, possono essere tristi e nostalgici quando perdono il contatto con il proprio padrone, ma infelici..........infelici è un' altra cosa.
L'infelicità presuppone la consapevolezza dell' individuo rispetto allo stato emozionale che lo rappresenta, definendosi in misura della propria sensibilità e rivelandosi in modo manifesto.
La capacità di essere infelici rende necessario il suo riconoscimento e, come per tutto il resto, il riconoscimento di un qualcosa dipende dal confronto con qualcos'altro. Con la felicità quindi.
Si può essere infelici solo se si è stati felici, e tanto più la felicità è stata significativamente valutata tanto più la perdita del suo contenuto può portare all'infelicità più elevata.
L' essere umano più definito è quindi colui che riesce a passare da un estremo all'altro, colui che passa dall' estasi alla più profonda tristezza, un essere che conosce, a differenza degli altri viventi, quelle situazioni così estreme che lo portano a differenziare se stesso dagli altri suoi simili, come non avviene negli animali.
Avete mai visto animali che sviluppano le differenze individuali che conoscono gli umani? Direi di no, tranne che nei cartoni animati.
Vabbè, post triste si era capito, ma che volete che ci faccia, ci sono giornate così, caratterizzate da qualche fatto o, semplicemente, giornate che non vanno.
Le cose possono non andare a causa nostra, a causa degli altri, a causa di sfighe e incroci malevoli di circostanze favorevoli. Una cosa un po' alla Sliding doors. A volte un'occasione salta, o arriva nel momento sbagliato. Bisogna saperne aspettare un' altra, anche se preferiremo che quella stessa possa tornare.

Simone Ariot

p.s: mi riprometto di non scrivere più post tristi.

lunedì 8 febbraio 2010

Scuola e media: ci siamo anche noi.



In principio fu il maestro Manzi: era il 1960 e con la trasmissione televisiva "Non è mai troppo tardi" ha insegnato a più di un milione e mezzo di italiani a leggere e scrivere. Innovativo sperimentatore della didattica a distanza, ha creduto in un nuovo strumento che alcuni vedevano ancora come il Diavolo fattosi macchina. Probabilmente è stata una delle prime occasioni in cui l'insegnamento è uscito silenzioso dalle pagine di romanzi come Cuore e Pinocchio ed è entrato nemmeno troppo in punta di piedi nella scatola grigia destinata a diventare di lì a poco l'elettrodomestico preferito da milioni di italiani, e non solo.
Da quel momento in poi la scuola farà la sua comparsa nel grande e piccolo schermo mostrando un quadretto non sempre corrispondente alla realtà e contribuendo a costruire la forma stereotipata di diversi tipi umani presenti nel mondo della scuola. Dall' insegnante frustrato del "Maestro di Vigevano" con un sofferto Alberto Sordi, al pluriripetente Chicco Lazzaretti dei "Ragazzi della terza c", talmente affezionato alla scuola da risultare sconvolto il giorno del superamento dell' esame di maturità. Non solo ruoli comici, oltreoceano film come "L' attimo fuggente"( 1989) hanno fatto sognare a generazioni di adolescenti di incontrare un insegnante carismatico e anticonformista come il professor Keating che liberava i suoi scolari dalla morsa delle aspirazioni/imposizioni familiari, o come Mel Gibson ne "L'uomo senza volto" (1993). Tornando in Italia, dobbiamo a Daniele Lucchetti e ancor di più all' autore dei romanzi che l' hanno ispirato, Domenico Starnone, il film che meglio ha raccontato la realtà anacronistica, spesso incoerente, della scuola italiana nell'onomimo "La scuola" (1995)a cui seguirà senza ottenere lo stesso successo "Auguri Professore" con lo stesso e magnifico Silvio Orlando da molti ricordato come il migliore attore-professore del cinema italiano.
Ma vi sono anche sceneggiati (telefilm) per la tv come "Sei forte maestro" con Emilio Solfrizzi o "Caro maestro" con Marco Columbro, questa volta ambientati nelle scuole elementari, o veri e propri quiz televisivi ( "per un pugno di libri") dove si testano le conoscenze letterarie di classi a confronto capitanate da un rappresentante e guidate nel percorso di gara da Neri Marcoré e Piero Dorfless. Non dimentichiamo infine, in ordine di tempo, "Mtv school in action", un programma della popolar rete televisiva tanto amata dai teen agers in cui si organizzavano spettacoli musicali all' interno delle scuole ( 2005-2007)e, per citare la radio, l' appuntamento del sabato mattino di Radio24 "Obbligo di frequenza".
Poi di scuola se ne parla al telegiornale soprattutto per vicende che sarebbe meglio non sentire di cui spesso ci chiediamo il senso ( bambini disabili picchiati, bulli allo stato brado, professori impazziti)ma mai una volta che se ne parli per raccontare quanto di buono o comunque interessante si riesca a realizzare dentro la scuola. Bene, dobbiamo fare ammenda e smentire questo luogo comune secondo il quale la scuola non interessa i media, perchè abbiamo appena scoperto che è vero il contrario.
Venerdì 5 Febbraio la trasmissione "Ti racconto un libro" (della rete Iris del digitale terrestre di Mediaset) ha inviato una troupe per registrare un' intera puntata proprio qui da noi, nella 2AST del liceo scientifico Quadri di Vicenza. Incuriositi da questo metodo che vede i blog protagonisti della didattica si sono spinti in terra vicentina per documentare una lezione tipo ( 50% d' aula, 50% di laboratorio) e intervistare il sottoscritto e gli studenti che stoicamente sono restati a scuola al pomeriggio nonostante non fosse orario di lezione. ( Chapeau). Già, perchè se tra chi ci segue regolarmente ( mi riferisco ad esempio ai silenziosi amici di Bomba, Chieti e giù di lì)qualcuno si fosse chiesto da dove salta fuori questo blog e quelli ad esso collegati, possiamo rispondere che si tratta di un esperimento autonomo di didattica che chi scrive e la sua classe stanno portando avanti da alcuni mesi. Forse, per capire meglio, potreste leggere l' articolo che lo stesso Venerdì 5 febbraio il Giornale di vicenza ha pubblicato, probabilmente mosso dallo stupore suscitato dal saper essere in città un' importante rete televisiva di Mediaset. Bene, una puntata televisiva e un articolo in un solo giorno, entrambi utili a far comprendere anche a chi non fa parte del progetto le caratteristiche e le peculiarità di un percorso che stanno garantendo sempre maggiori soddisfazioni e che stanno avvicinando sempre più alla lettura e alla scittura chi prima poteva definirsi lontano.
Non appena la puntata sarà uscita dalla sala di montaggio posterò il link e il filmato, e a quel punto tutto apparirà molto più chiaro.

Simone Ariot

lunedì 1 febbraio 2010

Io e Raffaele



A volte si cercano risposte a complesse domande molto più lontano rispetto a dove le si potrebbe trovare. A volte può essere sufficiente fermarsi e guardarsi dentro, in altre occasioni è più consigliabile affidarsi a qualcuno che possa ascoltare, e individuare nella confusione che c'è in noi quella nube da schiarire, quell' ostacolo da superare. Nella vita come nella scrittura ci sono difficoltà e nella vita come nella scrittura ci si imbatte in esse. Grazie a Giovanna Viola(scrittrice e insegnante nel nostro liceo) e al suo libro ( IO e Raffaele,ed Domna), ci avventureremo proprio in queste difficoltà. Qeulle che nella vita ogni individuo incontra, e quelle che nella scrittura ogni scrittore sperimenta almeno una volta ( e spesso molte di più). Un libro che ci parla della vita , e un' autrice che ci parla di scrittura. Il tutto, giocando in casa ( Liceo Quadri)

Quando si capisce se l' idea del romanzo è quella giusta? Come si superano i blocchi creativi? Come avvicinare la penna a quel foglio di carta o schermo del pc che tanto spaventa? E ancora, quando si capisce che l' idea è finalmente quella giusta?
Sarà un incontro-conversazione, passando dalla presentazione del romanzo di Giovanna ai dubbi che voi, giovani scrittori, continuate giustamente ad avere. Copywriter, editor, webmaster, ce n'è per tutti. Voglio vedervi attivi e curiosi, con domande interessanti e spunti che diano il la a un "concerto letterario estemporaneo" ( mi piace l' idea n.d.r)
Simone Ariot

giovedì 21 gennaio 2010

Less is more



"Ieri a Rouen il signor Colombe si è ucciso con un colpo di rivoltella. Nel marzo scorso sua moglie gliene aveva sparati tre. I due erano in attesa di divorzio".

Il 24 dicembre, visitando una libreria, una triste constatazione: In tutto il 2009 avevo letto meno della metà dei romanzi che solitamente ingurgito in un anno. Dovevo assolutamente saldare il debito con la letteratura, e avevo solo una settimana! Romanzi in tre righe, libro di Félix Fénéon, faceva al caso mio. La formula Fénéon è molto semplice: una riga per l'ambiente, una per la cronaca più o meno nera, una per l'epilogo a sorpresa. Grazie alla fantasia dirompente di un impiegato ministeriale nato a Torino e vissuto in Francia a cavallo tra 8 e 900', schiere di studenti, bo-bo ( Bourgeois-bohèmien ), insegnanti di lettere con sensi di colpa o sedicenti appassionati lettori possono finalmente smetterla di sentirsi in colpa: in un paio di minuti si riescono a leggere una decina di romanzi, riallineandosi alla media di lettura dei bei tempi che furono.
Il medico incaricato di eseguire l'autopsia sul cadavere della signorina Cuzin, di Marsiglia, deceduta in circostanze misteriose, afferma essersi trattato di suicidio per strangolamento." Se invece non avete motivo di sentirvi in colpa per mancanza diretta di frequentazione letterarie sapiate che Fénéon lo si può ringraziare almeno per un altro motivo. Ci insegna che a volte "Less is more", come diceva l' indimenticato Mies van der Rohe, "Il meno è più". Non serve cercare sempre e solo il il dettaglio del dettaglio del dettaglio, ma soffermarsi sull' essenza, che deve essere chiara, ben espressa, lucida e snella. Parole taglienti usate da una figura della letteratura francese che per primo ha coniato il termine impressionismo e che ha prodotto un'innumerevole serie di critiche letterarie sule più autorevoli riviste francesi. Scopritore di Mallarmé e Rimbaud,apprezzatissimo redattore di rapporti ministeriali e segretissimo scrittore di letteratura, per anni pubblicò sulle pagine del quotidiano Matin questi brevi esempi di letteratura. Fatti reali e accaduti, maestosamente trasformati in brevi romanzi. Grazie al fatto raccontato? Anche, ma soprattutto grazie allo stile e alle parole usate. Less is more!

"Domenica, un sommozzatore di Nancy, Vital Frérotte, è morto per una banale errore. Era appena tornato da Lourdes, definitivamente guarito dalla tubercolosi."

Ma tutto ciò non vi ricorda Twitter? ne riparleremo,.... o ne parlerete voi.

Simone Ariot

mercoledì 13 gennaio 2010

Creativamente ozioso



Ore 23:10. Sono appena rincasato dopo le mie solite 15 ore di lavoro, d' altra parte ero uscito di casa alle 8 del mattino. Ho fatto lezione, un consiglio di classe, risposto a una ventina di mail e spedite altrettante, ho letto 3 racconti dei miei studenti e una quindicina di recensioni, poi ho impostato le lezioni di domani. Ho parlato di letteratura con una collega e presentato alcune idee al preside. Mi sono trovato con un amico all'ora dell' aperitivo per parlare di una questione di lavoro ma poi abbiamo incontrato x e da li è nata l' idea per un nuovo evento da organizzare. Poi, a cena con y, abbiamo discusso di come usare i social network nei business e in quel momento ricevo un sms da k che mi segnala una richiesta di consulenza pervenuta da una società che opera nel settore del turismo. Guardando la bottiglia d' acqua che avevo davanti noto una parola che corrispondeva al titolo della poesia spiegata in classe e collegandola al turismo ho un' illuminazione. Quelle poche parole erano perfette per il testo della pubblicità che devo consegnare tra pochi giorni. Torno a casa e mi rimetto al pc, controllo l' ultima posta e approfondisco alcuni fatti che m' interessano.

Scusate, ma oggi ho lavorato o mi sono divertito?

Togliamo quelle 4 ore di lezione e l' ora del consiglio di classe per le quali la mia presenza era obbligatoria e ne rimangono comunque 10. Si trattava di lavoro o di divertimento? Di cose importanti o futili?
Un tempo i latini ( e vedete che ritorna sempre il mio primo lavoro d' insegnante) parlavano di due realtà molto lontane: Otium e negotium.
La prima era un' attività dedicata all' arricchimento culturale, allo studio, a ciò che comporta un' evoluzione spirituale e disinteressata dell' animo: leggere, disegnare, dedicarsi alle arti, parlare di argomenti colti con amici.
Con il termine negotium, al contrario, si indicavano le attività finalizzate all' arricchimento in senso economico ( da qui il concetto di negozio come luogo fisico in cui si vende), dando per scontato che queste fossero incompatibili con una dimensione culturale. Nel corso dei secoli il concetto di otium ha assunto un' accezione negativa, quasi di perdita di tempo, di svacco ("smettila di oziare in quel divano!!")arrivando all' idea che le sole cose serie fossero quelle che portano un'arricchimento sul piano monetario.
Ora si assiste a una rivalutazione del concetto originale di otium con un' aggiunta che non fa certo male, soprattutto in tempi di crisi come questi in cui si avverte uno straordinario bisogno di creatività. Potrebbe sembrare un ossimoro ma l' ozio creativo, teorizzato dal sociologo Domenico De Masi, è proprio la condizione in cui mi sono trovato oggi. E' un lavorare divertendosi, facendo ciò che si ama e che non pesa. E' una realtà in cui i confini tra il lavorare, sperimentare, giocare e comunicare si confondono e si lascia libero spazio a quella creatività che di fatto è soprattutto fantasia.
In tempi in cui dei noiosi e ripetitivi lavori della produzione se ne occupano le macchine, all' uomo non rimane che farsi venire un'idea e trovare le soluzioni per realizzarla, possibilmente seguendo una strada nuova e non percorsa da tutti. E' proprio in questi momenti che realtà appartenenti a mondi solo in apparenza lontani entrano in comunicazione. E' in momenti come questi che un poeta dell' 800 torna utile al pubblicitario del 2010, o che viceversa un blog nato per una comunicazione non formale diventa strumento didattico destinato a giovani liceali. E' trovare in tanti link, infiniti, un collegamento comune, dovendosi preoccupare delle scelte.
E uno studente......, come può trasformare il suo studio in uno studio ozioso ( in senso latino) e creativo?


Simone Ariot

mercoledì 6 gennaio 2010

Largo agli anni 10'.


Sono arrivati, nemmeno troppo annunciati e privi di quel calore mediatico che come un' onda ci sta abituando ad accompagnare l' arrivo dei momenti più significativi.
A dire anni "10'" ci vengono in mente cartoline in bianco e nero liberty di un secolo fa, invece no, eccoli qui, protagonisti di un nuovo secolo e silenziosamente scesi dalla cometa delle novità.
Cosa ci porteranno gli anni 10'? Successo, amore, pace, soldi e salute?
Non credo, o meglio, non credo solo tutte queste belle cose.
Forse non ve ne siete accorti ma questi anni zero sono volati come solo le cose nuove volano. Sono stati anni di transizione tra il vecchio e ciò che sarà il nuovo.
Una sorta di passaggio epocale, simile a quello che aveva colpito la fine del settecento in Europa e più propriamente la Francia nel passaggio tra ancienne e nouveau regime. Ma ora non si parla di estensione dei diritti umani o nuovi modi di produzione. Al centro di questo gran cambiamento c'è quella che oggi viene chiamata era digitale.
Forse non tutti se ne rendono conto ma solo dieci anni fa sarebbe stato inimmaginabile pensare che un insegnante come il sottoscritto potesse comunicare con i propri studenti ed altri ancora attraverso il web e che potesse far conoscere la propria didattica ad una comunità virtuale allargata e forse sconosciuta.
Pensate bene, dieci anni di sperimentazione, lenta sperimentazione in cui le persone cominciano e prendere confidenza con una nuova realtà che nel giro di poco tempo diverrà di tutti e per tutti.
Cent' anni fa cominciarono a circolare le prime auto. Roba da ricchi, da pochi privilegiati. Quando se ne vedeva una era come avvistare un ufo. Oggi, in Italia, circolano 34 milioni d' automobili, una ogni due persone. Solo vent' anni fa avere un computer era cosa rara, pochi smanettoni potevano possederne uno, oggi non avere un pc significa automaticamente essere esclusi dalla società. Per non parlare del telefono cellulare: quando nel 98' sono usciti i primi modelli a scheda si trattava ancora di uno status symbol non indifferente, associabile ad imprenditori e uomini d' affari. Oggi, bambini di sette anni sanno già scambiarsi file bluetooth............
La diffusione della tecnologia, per non parlare della sua semplificazione massima d' utilizzo e il costante perfezionamento, è già arrivata.
Ora si comincerà ad utilizzarla nella quotidianità, nel lavoro e non solo nel tempo libero. I medici norvegesi che si coordinano via I-phone o i blogger statunitensi che lanciano agenzie di stampa attraverso un neetbook non sono più scenario da film spaziale, così come non lo saranno gli studenti che si recheranno a scuola con un e-book elettronico e un mini laptop dove prendere appunti, vedere filmati, registrare lezioni e trasmettere presentazioni delle proprie ricerche.
Oggi comincia ufficialmente un nuovo modo di imparare e di produrre cultura, alla quale gli studenti sono già pronti, la maggior parte dei professori molto meno, la politica non ne parliamo. Ma la sfida è tutta qui, dimostrare che la tecnologia e la sua democratizzazione possono aiutare l' apprendimento, la cultura e la conoscenza.
Ora si esce dalla fase di sperimentazione durata dieci anni, e si entra in quella d' azione.
C'è stato un richiamo ufficiale? Un monito generale?
No, sono i tempi che corrono che ci impongono di adeguarci.
E noi lo faremo, facendo letteratura e comunicazione.
Benvenuti anni 10'!

Simone Ariot

mercoledì 23 dicembre 2009

Arrivano gli zombie


POST DAL CONTENUTO EMOTIVO INCENDIATO

Mercoledì 23 dicembre, ultimo giorno di scuola prima delle vacanze. Ora a disposizione. Per gli addetti ai lavori termine conosciuto, per chi non abbia mai insegnato le ore a disposizione sono quelle che un insegnante offre alla scuola per coprire e supplire eventuali colleghi malati.
Devo andare in una quinta, indirizzo scientifico. Prima di entrare in classe parlo con la loro insegnante di lettere e chiedo se può essere utile che vada avanti con il programma o, ancor meglio, simuli un colloquio d' esame. Risposta affermativa e dovuti ringraziamenti.
Entro in classe, è la penultima ora di lezione, ed essendo l' ultimo giorno di scuola non esiste la possibilità di un compito il giorno dopo o di un' interrogazione per cui studiare. Dovrei trovare quindi una classe disponibile, in teoria felice della possibilità che volevo offrire.
"Sono il prof. Ariot, insegno lettere, ho parlato con la vostra docente e possiamo andare avanti con Leopardi, da una prospettiva a cui non siete abituati, o simulare un colloquio d' esame, considerando che non vi conosco e quest' anno il commissario di lettere sarà esterno,quindi un buon esercizio per voi"
"Nooooooooooo"
"E' una possibilità che vi do, un favore che vi faccio disinteressatamente. Credo possa essere utile vedere come interroga un altro insegnante considerato che voi siete abituati con la stessa docente da anni".
Mi guardano come se avessi proposto loro di mangiare merda.
"Guardate che è una cosa senza voto"
Uno si alza , cambia banco, e mentre cammina "sinceramente......"
"ragazzi se non ve ne frega niente ditemelo subito, ribadisco che servirebbe a voi , non a me"
"sinceramente non ce ne frega niente"
Gli altri volti sono di persone in silenzio che non prendono posizione e decisioni. Mi guardano ma nemmeno troppo.
Percepisco la voce di una ragazza che timidamente dice ai compagni "io lo farei, se a uno non interessa fa a meno e non ascolta".
Subito si sente rumoreggiare, lei lo ripropone e il tipo di prima che dice "no no, è l' ultimo giorno".
"bene, non c'è problema, a me non cambia nulla."
Sbagliato, mi cambiava molto. Ero tremendamente incazzato per tre motivi.
1- rendermi conto che quella voce silenziosa non è riuscita ad imporsi
2- rendermi conto che in quella classe non c' erano persone ma fondamentalmente animali in procinto di diventare automi, o meglio, poveracci.
3- constatare che non sarebbe servito a nulla imporre la mia scelta in quanto quelli erano già fottuti a vita. E si vedeva anche solo guardandoli in faccia.

Cosa posso fare per i restanti 45 minuti? Considerando che l' ora successiva la mia classe doveva copiare il tema in bella copia non c'era argomento da ripassare, non avevo altri temi da correggere, né un quotidiano da sfogliare o un pc portatile in mano, né un cellulare smartphone con cui collegarmi ad internet. La sola soluzione possibile consisteva nell' osservare questo gruppo di presunti studenti. Forse, se avessi fatto lezione, potevo far capire loro che sono come le pecore del Canto notturno di Leopardi, animali che vivono giorno dopo giorno senza rendersene conto, senza sentire nulla, senza la coscienza di essere.
Che tristezza constatare questo.Un gruppo di diciottenni che per una volta possono farsi ascoltare su argomenti che hanno a che fare con la vita, e senza essere valutati da un voto, che rifiutano questa possibilità. E per far cosa? Ve lo dico subito: per starsene fermi a non far nulla per un ora. Questo è quello che hanno fatto. Non hanno letto un libro, non hanno nemmeno ascoltato musica. Qualcuno mandava sms pensando di non essere visto, altri parlottavano e a guardare le espressioni l' argomento poteva essere il sabato sera, la patente da fare, i regali di Natale........
Perchè un diciottenne non è interessato ad ascoltare una persona più grande di loro che propone una riflessione su un argomento che riguarda tutti?
Perchè si preferisce starsene muti e fermi come un automa invece di agire e far sentire la propria voce?
Perchè di fronte a uno che offre una possibilità unica la si scarta?

Ricordo quando ero studente. Un giorno viene a farci lezione un prof di un' altra classe. Entra, fa l' appello e comincia a parlarci dell' importanza dello studio del greco, di come questa lingua consenta di conoscere bene i significati delle parole e sia all' origine della cultura occidentale. Quel professore aveva anche un negozio di musica in città e al mattino insegnava latino e italiano. Era un mezzo genio poi quasi cacciato dalla scuola per i metodi che utilizzava, ma quella lezione, quell' ora di lezione, aveva cambiato qualcosa in me. Da quel pomeriggio mi lanciai nell' avventura di imparare il greco antico da solo, senza aiuto di nessuno, senza lezioni private. Ero in quinta liceo e mi sentivo inferiore ai miei amici del classico che studiavano greco. L' ho imparato? beh, almeno ho imparato a leggerlo e scriverlo, le parole principali, un minumo del sistema verbale. Se non fosse entrato in classe quell' insegnante io non avrei dedicato ore su ore allo studio di una lingua morta ma per un insegnante di lettere ancora preziosa. E tutto fu il frutto di un caso.
Ero affascinato da quell' uomo un po' strambo, che arrivava a scuola in bicicletta con una sciarpa rossa e i capelli perennemente spettinati. Credevo che in qualcosa potesse essere un maestro , che almeno avesse qualcosa da dire.
Beh, oggi qualcosa da dire ce l' avevo anch' io, ma nella classe che ho avuto davanti non c' era nessuno in grado di comprenderlo, salvo una persona forse, che non si è però battuta con il resto della classe per un suo diritto.
Triste realtà, soprattutto se questi fatti capitano in quella che è considerata la migliore scuola superiore della città.Un gruppo di ragazzi che dovrebbero poi andare all' Università e diventare classe dirigente. Oggi purtroppo è la prassi, anche al liceo, e allora non stupiamoci della disoccupazione, di un paese che va male e tanto altro.
Questa è la mia testimonianza prenatalizia, a meno di 48 ore dal mio trentesimo compleanno che sarà il 25 dicembre.
Comunque, come è andata a finire l' ora? Dopo dieci minuti di osservazione avevo i conati di vomito quindi block notes in mano mi sono programmato giorno per giorno ( non proprio) le attività per le mie vacanze. Almeno quell' ora è servita a qualcosa.
Trent' anni fa non sarebbe stato così, e si sarebbero potuti accendere dibattiti entusiasmanti. Ma un tempo, chi frequentava un liceo, era interessato e non schifava la cultura.
Oggi, nel miglior liceo scientifico dela città e forse della regione, si trova anche questo.
Ma siete tutti così? I destinatari privilegiati di questo blog, i ragazzi della 2ast, direi di no. O almeno lo spero. Nel caso contrario mi incazzo e li faccio tornare nella retta via.
E gli altri? Studenti perfettini e attenti ai voti, studenti inquadrati e dai risultati strabilianti, studenti che andranno alla Galileiana, alla Normale, ad ingegneria o tante altre belle eccellenze universitarie, siete tutti così?
Se ci siete battete un colpo, commentate e dimostratemi che non siete tutti così.
A chi invece si riconosce nella descrizione, i miei più sentiti auguri di natale, e soprattutto.......


Simone Ariot

venerdì 18 dicembre 2009

IO non aspetto


Non crediate di essere né i primi né gli ultimi ad ambientare un racconto all’ interno del vostro Liceo. Prima di voi illustri scrittori e ottimi giornalisti hanno scelto i corridoi di tetre scuole italiane o i giardini dei fantasiosi e forse mai esistiti college delle eavy league britanniche per consentire ai protagonisti più o meno squinternati di evolversi nelle loro azioni quotidiane. “Il Giovane Holden” che ben presto leggerete, “Dio di illusioni” ( Tartt), “Io sono Charlotte Simmons” ( Wolfe), “Prep” (Sittenfeld) e molti altri ne rappresentano un esempio. Probabilmente la scuola è un luogo dove tutti , chi più chi meno, hanno passato tempo prezioso della propria vita stimolando la fantasia più di molte innocue e banali case! Ma possiamo immaginare soprattutto che per l’ atmosfera di costrizione educativa che si respira e l’assoluta astoricità di molte lagne quotidiane, la scuola è e rimarrà realtà odiata a sufficienza da volerci scappare ma mai abbastanza da dimenticarla o non desiderarla diversamente. Abbiamo anche noi, nella dimensione del nostro liceo cittadino, un romanzo ( un vero romanzo) ambientato ( anche se non del tutto ufficialmente) in un liceo che potremo quasi identificare con il nostro. Si chiama “IO non aspetto”, ed è il prodotto della fatica di due insegnanti che si fanno rapire dalla trama della storia per portarci dentro una matrioska che scende sino all’ abisso della coscienza. Due professori ( un uomo e una donna) che si incontrano e decidono di scrivere un libro che parla di due professori che si incontrano, s’ attraggono e si lanciano nell’ avventura di un romanzo a 4 mani all’ interno del quale rinarrano le vicende di un’ altra coppia, questa volta non di insegnanti, alle prese con l’ amore, la quotidianità, l’amicizia, il lavoro……….
Federica Niola e Adriano Gennari sono gli autori insegnanti che spesso incrociate in corridoio , autori di un romanzo originale, spinto a tratti, che non risparmia battute di critica all’ambiente scolastico e a chi lo compone proponendo un’idea a tratti realistica dei momenti della scuola italiana. Una storia dentro la storia di una storia. Complicato?Matrioska? Meno di quanto si pensi. E sapete una cosa? Saranno loro a raccontarci come nasce e si sviluppa un racconto o un libro. Verranno a trovarci in classe!
E voi, giovani e promettenti scrittori? Siete pronti a perdervi tra i corridoi del liceo nel mezzo di una ricreazione, in palestra di notte o nell’ archivio blindato dove si depositano i compiti in classe? Siete sicuri di sapervi districare, almeno nella finzione, tra un insegnante inferocito e un altro timoroso degli studenti? E a cotte e cottarelle come state messi? Immagino abbiate diverse idee, io se fossi al vostro posto avrei da scrivere per centinaia di pagine per raccontare avventure sognate o capitate, come quella volta, l’ ultimo mio giorno di lavoro nella vecchia scuola, quando la sera della festa di fine anno, nel laboratorio di meteorologia………….
Simone Ariot
Io non aspetto, ex cogita editore, 12.50 euro

giovedì 10 dicembre 2009

Popolo Abruzzese, unitevi!!!





Uomini e donne teatini, abruzzesi,bombaroli ( comune di Bomba), rispondete al nostro appello, fatevi sentire e tirate fuori la voce, o meglio, le parole!!!!
Siamo lusingati dal sapere che c'è qualcuno tra Voi che ci segue regolarmente, tutti i giovedì e non solo. Perchè non vi presentate e non ci raccontate qualcosa? ad esempio perchè non rivelarci la vostra identità? abbiamo formulato diverse possibili soluzioni per svelare l' arcano mistero, ma non possiamo capire se la nostra capacità investigativa sia abbastanza buona!!!! Qualcosa su di voi la sappiamo, ad esempio che mediamente state sul blog per 6 minuti e 2 secondi, che nell' ultimo mese c'è stato un nuovo visitatore ogni due visitatori abituali, che l' 80% di voi usa Explorere e il 20% firefox,che nessuno ha il Mac e che la maggior parte di voi ci raggiunge attraverso una sorgente diretta, vale a dire digitando l' indirizzo internet senza arrivare direttamente dal motore di ricerca.
Siete stupiti?
Bhe, come vedete con le nuove tecnologie ce la caviamo e sappiamo sfuttarle bene.
Se ci dite chi siete potremmo anche rivelarvi la nostra fonte!!!!
Fatevi sotto, aspettiamo una rivelazione!!!!!
Basta che adottiate un profilo di anonimo e commentiate questo post.
Chissà, magari, se come sospettiamo siete una classe di scuola, potrebbe nascere un gemellaggio!!!!!

Simone Ariot

lunedì 30 novembre 2009

E' ancora possibile la poesia?



Domanda che si poneva, e soprattutto poneva alla platea svedese, Eugenio Montale quel 12 dicembre 1975 quando per la quinta volta un italiano vinceva il premio Nobel per la letteratura. È ancora possibile la poesia In un mondo nel quale il benessere è assimilabile alla disperazione e l’arte, ormai diventata bene di consumo, ha perso la sua essenza primaria?».
Questa è la domanda che pongo a voi, perchè dovreste essere più adatti a rispondere rispetto a qualsiasi adulto. Il vostro essere giovani, ancora non del tutto inquinati dalla cultura della vita e del libro, dalle nozioni e ancor più dall' esperienza che spesso rende gli individui più inumani, potrebbe offrire interessanti risposte. Cos'è la poesia? Sono solo versi sciolti o articolati, uno dopo l'altro, buttati giù più o meno velocemente che esprimono o vogliono esprimere qualcosa? O la poesia è anche altro? Poesia è aggettivo o nome? è fenomeno o noumeno? è essere o apparire? Montale diceva che si, è ancora possibile e sempre sarà possibile, che "non c'è morte possibile per la poesia". Poesia deriva dal greco, poiein che significa creare, ma nel tempo ha avuto sempre più un valore di attributo, una sorta di valore aggiunto al tutto.
Ieri sera, ad esempio, ho cenato a Chioggia a casa di una persona magnifica che apre la propria cucina alla gente. Il pesce che ci ha servito in tavola era delizioso, e ancor di più il modo che aveva di servirlo. In un ambiente buio, illuminati solo dal fuoco del camino, sentivo e vedevo poesia sprizzare da tutti i pori. Sentivo la purezza della sua persona e la voglia di essere se stesso facendo star meglio le persone. E' poesia anche questa, nonostante non vi siano versi? E' poesia una bellissima donna che cammina elegantemente passando inosservata? è poesia il volto di un bambino di pochi mesi che sorride alla madre? é poesia una montagna piena di neve? Una villa del Palladio, una spiaggia deserta?
Post malinconico, ma la giornata non offre nulla di meglio.
Simone Ariot

sabato 21 novembre 2009

Baaria: una piccola, grande storia italiana.



Vi sono film in grado di trasmettere sensazioni difficili da dimenticare, emozioni che si trasferiscono in colori e suoni che riportano il messaggio indipendentemente dalla presenza di volti noti tra gli attori o storie surreali nella trama. Possono essere esempi di piccole produzioni indipendenti o tentativi coraggiosi di esplorare generi e linguaggi poco frequentati, sta di fatto che, soprattutto nel vecchio continente, sia difficile trovare positivi riscontri critici nei confronti dei kolossal multimilionari, probabilmente per la pressochè totale assenza del genere nella dimensione del cinema europeo. Fino al momento in cui un regista schivo e appassionato non decida di cimentarsi ed impegnarsi anima e corpo nella realizzazione di un film tanto semplice nella progettazione quanto complesso nella realizzazione. Giuseppe Tornatore evolve la dimensione autobiografica di "Nuovo cinema Paradiso" con un film che lo ricorda ma allo stesso tempo lo supera. Il più costoso film italiano di tutti i tempi ricostruisce filologicamente, alla perfezione, un paese scomparso e sepolto dai ricordi, una Sicilia in trasformazione che viaggia fra i contrasti del meridione italiano driblando fra spinta all' innovazione ed attaccamento alla tradizione, dalle manifeste adesioni ad uno spirito di sacralità familiare alla volontà di ribellarsi alle imposizioni matriarcali. In Baaria si racconta una storia semplice, senza colpi di scena, una storia che potrebbe essere di tutti noi. Ma la si racconta con la forza del ricordo, con il sacrificio della pazienza, con la passione del frutto della fatica, attravreso una filologica ricostruzione di ambienti, costumi, dialoghi,musiche, tecnologie mai visti prima in un film italiano.
Non è semplice vedere ed apprezzare Baaria, un film per tutti se ci si ferma al primo livello di analisi (quello che ci porterà a dire " Film ben fatto"),ma allo stesso tempo film che diventa per pochi se si vuole entrare nel dettaglio della comprensione degli infiniti e continui riferimenti culturali disseminati nelle quasi tre ore di proiezione....
Dalle citazioni della strage di Portello della Ginestra ai nomi ( veri) dei sindacalisti ammazzati dalla Mafia. Dai versi dell' Orlando furioso cantati nei fienili dai cantari, ai detti siciliani ancora in uso nei paesini più isolati. Un insieme infinito di elementi che chi ha viaggiato con gli occhi aperti in Sicilia non può non notare, un insieme di testi e contesti che sprigionano malinconia da ogni dove.
Tornatore è un po' questo, un trionfo di riferimenti malinconici letti in chiave moderna, dalla parte di chi è consapevole che anche una storia normale, se aiutata dal contesto, può diventare una grande storia.
Simone Ariot

giovedì 12 novembre 2009

Ma dove vai, mammina in bicicletta!


Era una scena piuttosto frequente per chi ha vissuto l' infanzia sino agli anni 80', quando di mattina, pomeriggio, o talvolta di sera, flotte di giovani o meno giovani madri ( sicuramente meno fashion di quelle odierne)sfrecciavano in città come in campagna in sella a una bicicletta rigorosamente senza palo portandosi dietro un bambino non sempre leggerissimo. Sole o nebbia, vento o pioggia, quello era l' unico mezzo a disposizione per quelle molte donne che non avevano o non volevano avere un' auto. Anni in cui le mamme stavano a casa senza essere considerate svogliate, indaffarate come poche tra fornelli e assi da stiro. Pallavolo, scout o danza che fosse erano sempre pronte ad inforcare la bicicletta ( i caschetti che si usano oggi non sapevano manco cosa fossero) e si cimentavano nella consueta passeggiata. Senza rischiare di ricevere una telefonata poichè i telefonini grazie a Dio ancora non esistevano. Avevano la sola preoccupazione di arrivare a casa sane e salve con il loro pargoletto.
Oggi, queste scene non si vedono più, le mamme che riescono ancora ad andare a prendere i ragazzini a scuola hanno sostiuito le biciclette con i più invasivi SUV, mostri a quattro ruote ma altamente chic, e la scena descritta poco sopra rimane un ricordo dell' infanzia o è relegata alla realtà delle più lontane terre di campagna.
Questa mattina, nel traffico vicentino, mi è capitata una scena che non mi aspettavo.
Un padre (evidentemente l' emancipazione femminile ha trovato la sua strada) , sulla cinquantina, che pedalava energicamente trasportando nel portapacchi di una vecchia bici da donna una ragazzina di circa 12 anni.
Non ho potuto fare a meno di subire una sorta di operazione di flasback, un remeber dei tempi passati in cui il potere dell' immagine sblocca dal congelatore della memoria figure e ricordi ormai dati per dispersi. Ma c' era qualcosa di nuovo: alla guida della bici ( per giunta da donna), c' era un uomo, che sembrava pure felice.
Siamo arrivati alla parità dei sessi, anzi al superamento?
O, molto più semplicemente, complice la crisi, riscopriamo abitudini che, in fin dei conti, non erano poi così disdicevoli?
D' altra parte, il tragitto casa scuola può offirre occasioni validissime per il dialogo padre-figlia se attuate in modo ecologico, sempre che il padre sia disposto a pedalare e la figlia a farsi vedere in compagnia del padre ( in questo caso non alla guida di mercedes o bmw ma di una semplice , e sgangherata , bicicletta).
Saranno tornati i tempi umili?
Simone Ariot

p.s: spunto per un prossimo romanzo: abitudini di un tempo che se tornassero vi farebbero felici o vi renderebbero la vita un inferno.

martedì 3 novembre 2009

Potere alle parole ( nel web)!!!!!!


Basta poco per creare qualcosa di nuovo e di diverso.
Basta guardarsi intorno, cogliere l' ispirazione da un fatto già noto, vivo e vegeto e importarlo nella propria dimensione. Il progresso è anche questo, evitare di chiudersi in un mondo autoreferenziale ed aprirsi a quello che c'è lì fuori. Come abbiamo fatto noi con questo ( e gli altri ) blog.
Forse non pensavo che così velocemente sarebbero arrivati i primi riconoscimenti, e invece eccoci qua, a festeggiare i contatti che vengono da fuori del gruppo classe e, lasciatemolo dire,...si tratta di conttati autorevoli.
Il primo domenica. Leggo la mail e trovo questo messaggio, scritto da Davide Nonino, un web scrittore ( e non solo) che ci ha scovato nella rete:

Caro prof. Ariot,
le scrivo per complimentarmi per il progetto di scritttura creativa che sta portando avanti con le sue classi sia sul lato propriamente "scrittivo" che 2.0 con la rete di blog impostata con i ragazzi. Un esempio che le buone idee e l'entusiasmo nella scuola ci sono...dubito come sempre che giornali e tv segnaleranno un'iniziativa di questo tipo (preferiscono, si sa, mostrare le cose che non funzionano). Nel mio piccolo vi ho segnalati su Appunti di scrittura creativa (che su facebook ha un buon seguito di 600 iscritti)

http://appuntidiscritturacreativa.tumblr.com/post/229844547/scuolascrittura

dove raccolgo le migliori risorse gratuite del web per scrivere meglio e tutti con l'idea di condividerle (sperando possano essere utili anche a voi). Ho cercato di commentare sul blog del progetto ma non mi pare sia andato a buon fine. Se può girare i complimenti anche ai suoi studenti.

Un caro saluto

davide

--
Davide Nonino
web writing/gestione contenuti on-line

p.s: ( non sarebbe male intervenire nel suo sito/blog per raccontare la nostra esperienza).
Vedete che vale la pena sperimentare?! Senza fare alcuno sforzo ci hanno trovato e si sono fatti vivi con tanto di complimenti.
Ma non è finita qua. Questa mattina mi ha telefonato Radio 24, una delle maggiori radio italiane, del gruppo del "Sole 24 ore", per chiedere un mio intervento alla trasmissione di Gianluca Nicoletti "Melog 2.0" ,una delle trasmissioni radiofoniche più seguite e apprezzate, che oggi si occupava di scuola e di insegnanti. Ho subito colto l' occasione per parlare del nostro progetto e di quello che stiamo facendo e se volete potete riascoltare la replica questa sera alle ore 22.00 alla frequenza 101.3 o 106.8 o più semplicemente scaricarla al link http://www.radio24.ilsole24ore.com/player/player.php?filename=091103-melog.mp3 ed ascoltarvela per conto vostro.
Tutto ciò ci impone di impegnarci/vi sempre di più. Quindi ora parlo soprattutto a voi editor: sappiate che ci sono altre persone che vi leggono, cercate di migliorare il più possibile il vostro lavoro di correzione e il labor lime deve produrre un risultato sempre più fine. Per scrivere ci vuole tempo, quindi prendetevi tutto quello che vi serve.
Potere alla parola quindi ( per il momento su web) e buon lavoro!!!!!!!

Simone Ariot

domenica 25 ottobre 2009

Cibo&Parole


Amo cucinare. Più precisamente, amo sperimentare in cucina, nel pieno e confusionario disordine tipicamente maschile di chi cucina non per necessità ma per vezzo.
Abituato fin dalle origini a protestare sulla cucina altrui, ad un certo punto mi sono dovuto cimentare io, un po' alla volta , per ricavarne fuori qualcosa.
La cosa interessnate è che mi è piaciuto molto, soprattutto se si tratta di cucinare per altri e non solo per se stessi. Forse centra anche il fatto che alle donne gli uomini che cucinano piacciono, e quindi è doveroso imparare, ma nel mio caso direi che l' aspetto più attraente è legato alla sperimentrazione, all' uso della creatività e degli ingredienti da mescolare e proporre.
Vedo la cucina come la vita e gli ingredienti come le parole della lingua, in questo caso la nostra lingua. Messe insieme fanno delle frasi, più o meno belle, più o meno colte, più o meno comprensibili. Ci sono momenti per alcune frasi che messe in sieme producono un testo, magari comico ,nostalgico, poetico o sessuale. Allo stesso tempo gli ingredienti possono trovarsi bene o male fra loro, dando vita a una combinazione infinita di piatti e portate che escono una dopo l' altra dall' amata/odiata cucina.
Manzoni diceva che il romanzo è come un pianoforte con il quale poter suonare di tutto e io dico che lo stesso concetto vale anche per la cucina, perchè le note sparse ( ingredienti) possono creare sonorità inaspettate che ci allietano e accompagnano in uno dei momenti privilegiati della socialità: il pranzo o la cena.
A me piace cucinare soprattutto quando sono in vacanza, con amici e amiche, magari in una cucina all' aperto e mai per meno di 4 persone. Mi piace andare a fare la spesa al mattino presto, magari al mercato, e riordinare tutti i prodotti sul piano di lavoro vicino alla cucina. Quando sono in montagna cucino in un piccolo angolino, ma con il tempo ho imparato ad organizzarmi bene, mentre al mare ho a disposizione spazi più grandi, magari all' aperto. Da qualche anno ho contagiato gli amici e tutte le estati, il 21 giugno, ci facciamo un week end in spiaggia, con le tende e una sorta di cucina improvvisata ma dotata di tutto il necessario: barbecue costruito con quanto di utile si trova in spiaggia, piani di lavoro costituiti da vecchi bidoni usati dalle navi per il trasporto di liquidi.........
A volte, ho la possibilità di cucinare a casa di un amico che per lavoro costruisce cucine. Siamo a Vicenza e se vi dico che si tratta di cucine di lusso non ci mettete troppo a capire quale sia il marchio: pensate che a casa sua la cucina è in una stanza da 150 mq, sembra di essere al ristorante e cucinare li è fantastico. Per uno scrittore sarebbe come poter scrivere un racconto nella biblioteca più bella del mondo, contornato dai libri che hanno fatto la storia.
Ma quando si crea un piatto nuovo, che forse qualcun altro ha già preparato o preparerà, si deve attribuirgli un nome. Che piatto sarebbe senza nome? Che romanzo sarebbe senza titolo?
Tra le mie creazioni quella di cui vado più fiero è il "Piatto del marinaio povero". Si tratta di una variazione sul tema di un piatto che mi ha insegnato uno skipper, quando nel 2004 mi trovavo con lui e gli facevo da secondo ( significa aiuto skipper) in una traversata. Il nome lo si spiega immediatamente: Gli ingredienti sono talmente economici che con 4 euro si può cucinare un piatto di pesce per dieci persone. Alici ( quelle in foto) appena scottate in padella con olive nere, pomodorini, cipolla, peperoncino e prezzemolo. Esteticamente è divertente da vedere, ci sono i colori vivaci come il rosso, il verde e l' effetto metallizzato delle alici......
Ma se penso ad altri piatti, questa volta non miei, mi vengono in mente nomi straordinari, che spiegano molto bene il potere suggestivo della parola.
"Note di zenzero dal deserto marocchino", " Ricordi di un passato im-bufalito" " sogno di un oriente mai visto" sono solo alcuni tra i bizzarri nomi che nel corso delle mie peregrinazioni enogastronomiche ho incontrato.
E voi? Quali nomi curiosi di ricette conoscete?
Per fonti e ispirazioni gastronomiche, vedi il link in alto a dx


www.ilgastronauta.it
www.dissapore.com

Simone Ariot

martedì 13 ottobre 2009

Vecchia e cara libreria.



Oggi le farò visita. Forse potrò dedicarle solo poco tempo, i cinque minuti necessari per salutare i gestori, prendere i 19 volumi dei Piccoli maestri, pagare e andarmene. Si, oggi dovrò fare le cose di fretta perchè il tempo, lo sappiamo, non è mai abbastanza, ma vorrei comunque spendere due parole per parlare delle librerie, questi luoghi a molti sconosciuti e portatori di mistero.
Ricordo che un tempo entravo in libreria furtivamente, insospettito e fortemente timoroso dell' aria che si respirava all'interno. Quell' ammasso di libri dalle colorate copertine mi attraeva come può attrarre qualcosa di sconosciuto e pericoloso. Piano piano poi, nel corso degli anni, ho comuinciato ad entrarci diversamente, prendendomi il tempo necessario.
Le grandi librerie, quelle con i commessi che arrivano solo se lo chiedi tu, di certo non facevano al caso mio. Avevo bisogno di trovare una piccola libreria, più a misura d' uomo, dove poter scambiare qualche parola con il libraio, farmi consigliare o semplicemente ascoltare.
La mia prima libreria l' ho scovata per caso, passeggiando fra le strade di Vicenza. Avevo 17-18 anni circa ( qui lo confesso, prima della maggiore età leggevo molto poco e male)e una piccolissima libreria aveva attirato la mia attenzione. Era di sicuro la più piccola che avessi mai visto, con molti libri ammassati e allo stesso tempo ordinati, uno sopra l' altro a creare grazie alle copertine colorate giochi cromatici ogni giorno diversi. Il primo giorno che entrai non comprai nulla, limitandomi a dare un' occhiata. In cassa c' era Silvia ( il nome l' ho scoperto solo dopo molti anni)e si capiva non fosse una semplice commessa. La libreria era sua!!!!Ogni tanto, al posto suo, c' era la madre, una nota insegnante di filosofia del più antico liceo cittadino, e altre volte il padre, una figura che mi ha sempre affascinato: un intellettuale che proveniva dall' esperienza della grande imprenditoria veneta, una di quelle persone che oggi in giro non si vedono più.
In questa piccola libreria ho comprato i miei primi libri, e mi piaceva entrare e parlare con calma con Silvia o il padre. Li, ho avuto la mia prima educazione alla lettura. Poi, purtroppo, le logiche della grande distribuzione hanno costretto Le Scie a chiudere , soffocati dalle grandi catene di librerie dove trovi sempre quello che non cerchi. Silvia divenne un' insegnante di lettere e fu così che approdai da Traverso, storica libreria vicentina dalla gestione famigliare. Molto grande, troppo per i miei gusti, ma il personale mi è subito piaciuto. Oggi è la mia libreria di riferimentoe e quando vado mi sento un po' a casa. Le signore Traverso sono molto gentili e amano il libro, a differenza di molti commessi che stanno nelle super rivendite della Fetrinelli o giù di li, e i commessi sono preparati. Mi piace citare Giovanni, che studiava con me alla facoltà di lettere. Chiedere consiglio a lui è una cosa saggia. C'è una garanzia di competenza che proviene dalle pagine e pagine di studi fatti al dipartimento di filologia contemporanea dell' università di Padova.
Voglio citare altre due librerie che considero molto bene. In una a dir la verità ci sono stato solo poche volte. E' molto piccola, all' incrocio tra Corso Palladio e contrà San Gaetano da Thiene. Si chiama Montesello, è una libreria che sembra un piccolo labirinto, con un piano rialzato raggiungibile attraverso delle scricchiolanti scale in legno. Potete trovare libri in edizioni rarissime e dal costo molto basso,perchè sono tutti in saldo. Libreria piccola ma veramente d' altri tempi, consiglio un giro.
L' ultima libreria che vi propongo è a Bassano.
Questa è una signora libreria, si chiama Palazzo Roberti. All'interno di un bellissimo palazzo del XVII sec. una grande libreria a due piani, veramente ordinata ed elegante( la foto la ritrae) dove ci si può accomodare su un divano per sfogliare un libro che interessa. Consiglio di prendersi un intero pomeriggio, magari invernale, per visitarla, e di non soffermarsi al semplice giro ma sedersi su di un divanetto con un libro in mano. Per quanto mi riguarda, in questa libreria consiglio di concentrarsi soprattutto sui libri fotografici e di genere, introvabili in una così vasta scelta in qualsiasi altra libreria vicentina.
Ora, vorrei che mi raccontaste qualche vostra esperienza nelle librerie, se già ne avete fatte!!!!

Simone Ariot

mercoledì 7 ottobre 2009

Scoprendo Forester



Questa è una storia di un incontro che può cambiare e reindirizzare una vita. Ai più fortunati succede, nel mare magnum dell' esistenza, di trovare qualcuno che aiuti a comprendere meglio chi siamo e cosa vogliamo. Magari bruscamente, magari attraverso uno scontro più che un incontro. Ma succede.
Altri invece lo aspettano tutta la vita e forse non arriverà mai.
Parliamo di figure guida, persone con più esperienza senza le quali abbiamo difficoltà a prendere decisioni o più semplicemente restiamo spaesati.
Può essere un genitore, un nonno, un amico più grande, un insegnante, un medico o un quasi perfetto estraneo che in un modo o nell' altro ci faccia sentire meno spaesati.
A Jamal, il protagonista del nostro film, è successo quando meno se lo aspettava.
Chissà cosa sarebbe successo se non avesse fatto questo incontro, se non ci fosse stato un vecchio e scorbutico signore che lo stimolava, provocandolo, ad essere migliore, a non fermarsi molto facilmente, ad andare avanti anche quando risulta difficile. Non solo, le vere amicizie, i veri incontri importanti, diventano bidirezionali. Chi impara a sua volta insegna e non ci si ferma all' etichetta che vuole un docente e un discente. Tutti imparano da tutti.
E' emozionante questo film, soprattutto perchè l' incontro avviene, come nelle storie più belle, tra chi appartiene a due mondi molto diversi e nonostante ciò riesce a comunicare, magari con una certa difficoltà iniziale, ma comunque ci riesce.
E voi, avete già fatto un incontro importante che possa cambiarvi la vita? UN "maestro" che diventi un punto di riferimento?
Rispondetemi numerosi, ma dopo aver visto il film.


Simone Ariot

giovedì 1 ottobre 2009

"I Piccoli maestri"



Era settembre del 1998, undici anni fa.
Avevo da poco finito il liceo e aspettavo intrepido l' inizio dell' Università.
La settimana del cinema di Venezia stava per concludersi e non avevo ancora avuto l' opportunità di andarmene al Lido per gustarmi qualche film perchè tra treno, vaporetto e biglietto ( probabilmente già esaurito) avrei speso troppo e le mie finanze dell' epoca non mi permettevano troppe pazzie.
Ma per fortuna, quelli del festival, avevano pensato anche ai giovinastri come me allestendo alcune proiezioni in un mini cinema di Mestre e rendendo il tutto più economico. Quella sera, l' ultima sera, davano "I piccoli maestri", trasposizione cinematografica del romanzo di Meneghello del 1964, messo in scena da Daniele Lucchetti.
Forse per il titolo che chiaramente attraeva un neo maestrino appena uscito dalle magistrali come me, forse per il cast di attori del calibro di Stefano Accorsi ( quello di Two Gust is megl che One), Giorgio Pasotti, Stefania Montorsi che all' epoca erano visti dalla mia generazione come il modello da seguire, forse per quell' ambientazione mezzo vincentina, con le montagne dell' altopiano e i colli protagonisti o forse semplicemente perchè il trailer era bello, ed ecco che quella sera, forse per la prima volta, me ne sonon andato al cinema in solitaria.
Prendo la mia vecchia y10 rossa, entro in autostrada e tutto baldanzoso me ne arrivo a Mestre. Li il mio stupore nel constatere che la sala cinematografica era strapiena, senza un posto libero. Ma il modo di fare d' altri tempi del custode del cinema mi spingeva all' insistenza per ottenere di entrare ugualmente. Come me molti altri. Si insiste si insiste si insiste fino allo sfinimento ed ecco che abbiamo ottenuto ciò che ci eravamo prefissati. Seduti stipati sotto il palco, costretti in contorsionismi da circo per riuscire a vedere lo schermo, finalmente ci si poteva gustare il film. E che film!!!!
Nell'autunno del 1943 alcuni amici, studenti universitari decidono a loro modo di opporsi all'invasione nazista dell'Italia e partono per l'altopiano di Asiago con la voglia di ad unirsi ad altri gruppi di partigiani. Ben presto però i ragazzi si accorgono di essere tanto bravi sui libri quanto poco bravi a fare la guerra.
Chi come me non poteva che conoscere la guerra solo dai libri di scuola o dai racconti dei nonni, in quel momento si immedesimava immediatamente nell' atmosfera del film e soprattutto del cinema, pieno zeppo di ragazzi e ragazze che semplicemente guardando un film si emozionavano.

Piccoli Maestri è stato per me una sorta di rito di passaggio verso l' indipendenza e l' autonomia, e ancora oggi ricordo quei momenti con una certa nostalgia.

Sono curioso di scoprire queli emozioni, a distanza di 11 anni, possa invece offrirmi la lettura del libro, insieme ai miei "piccoli maestri" sdi 2ast.
E voi, ricordate un film che non solo per il contenuto ma anche per il contesto in cui l' avete visto rappresenta un' esperienza indimenticabile?
Chiaramente il film lo guarderemo insieme alla fine della lettura del libro!!!!


Buon ricordo

Simone Ariot