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giovedì 2 maggio 2013

Parla come mangi. Fenomenologia delle parole-fastidio.



Ci sono parole che non sopporto. Spesso sono inglesi, ma le odio soprattutto quando sono inserite in discorsi in italiano. A volte riescono a trasformare totalmente un’idea, una cosa, un fenomeno, aggiungendo connotati positivi e rendendo l’oggetto o il mondo che rappresenta quasi unico. Basta pronunciarle che ci si sente subito proiettati dentro la cerchia giusta di quelli che contano e che ne condividono non solo il significato ma anche la filosofia. Spesso queste parole, se sostituite con il corrispettivo italiano da cui talvolta derivano, diventano inequivocabilmente inadatte, demodé, sciacquate.
Le parole fastidio le chiamo io.
Nel 2012 ha vinto la mia personale classifica il termine spread, esempio perfetto e assoluto di parola  incompresa dalla maggior parte della popolazione ma allo stesso tempo strautilizzata. In pochi mesi è passata dallo 0,001% di diffusione al 98%. Il 2% che non l’utilizzava era composto da NO global (parola fastidio dell’anno 2001) e suore di clausura, anche se si mormora che tra le grate del monastero canossiano di Verbania una suora poi morta pronunciò l’innominabile termine.
Nel 2013, con 7 mesi di anticipo, i bookmaker (parola fastidio del 2006, introdotta per le scommesse della finale mondiale vinta dall’Italia) ipotizzano che a contendersi il titolo saranno tre lemmi, a meno che nei prossimi 7 mesi non ne nascano di nuove. Start up, Mainstream, Hipster.

Giovani felici ed energici. Hanno appena perso il lavoro a tempo
 determinato e ora sono  pronti ad investire la liquidazione e l'eredità dei nonni
 in una start up che  progetta applicazioni per imparare a ruttare

La prima è ormai sulle bocche di tutti. Ognuno vuole aprire una start up, ma se gli si propone di aprire un’azienda rifiutano l’invito. Una start up è più cool (parola fastidio 1996), easy ( parimerito nel 1988 grazie alla riscoperta del pezzo di Lionel Richie), riguarda un prodotto o una tecnologia mobile ( 4° classificata per i bookmaker 2013, ma alcuni prevedono rimonte) a cui si accede grazie al proprio essere e sentirsi young!
Mainstream è la scoperta degli ultimi mesi. Chi la usa sa di non essere compreso. Nemmeno lui ne conosce il significato. Si sa che certe cose lo sono, certe altre no. E, attenzione, a mainstream non corrisponde necessariamente un significato positivo. Perché mainstream parla di un universo  convenzionale, dominante, di tendenza.

Vuoi mettere Hipster?! 

Per Wikipedia il termine indica giovani di classe medio-alta, istruiti e abitanti dei grandi centri urbani, che si interessano alla cultura alternativa (o presunta tale) - “non mainstream” - come l'indie rock, la musica elettronica, i film d'autore e le tendenze culturali emergenti. Un buon Hipster con i suoi baffi e i suoi ciuffi pazzi conosce il mondo mainstream  molto bene, così bene da poterlo superare, surclassare e annientare. Gli Hipster sono una tendenza minoritaria, radical chic ( parola fastidio 2003 ), fixed adepti e un po’ Straight edge. Non sapete cosa significa? Allora siete proprio out! Fumatevi un joint che è meglio.

In mezzo a molte Lamborghini che rappresentano la tendenza mainstream, un'auto hipster si fa riconoscere

Simone Ariot

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